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L'Universale e il Profumo del Cinema

A gennaio del 2016 si è parlato della tragica ed instabile situazione dei monosala (La Sala del Ricatto). Qualche mese più tardi esce “L'Universale”, opera prima di Federico Micali incentrata sul cinema d'essai omonimo di Firenze. La commedia, presentata in anteprima al Bif&st, è tratta dal documentario realizzato precedentemente chiamato “Universale Cinema D'Essai”.

 

Il regista a tal proposito racconta “...con il documentario ho esplorato un mondo che mi era sempre stato narrato, io ero piccolo quando nell'89 la sala chiuse. Ci andai solo una volta e vidi Miranda di Tinto Brass: mi ricordo che fu frantumato in un coro da stadio ogni qual volta si vedeva un centimetro di pelle di Serena Grandi”. Ricordi lontani riportati sul grande schermo con nostalgia di ciò che è

stato, frutto delle “vite” vissute dalla storica sala cinematografica che nel tempo è stata un punto di riferimento di una serie di cambiamenti culturali, politici, ideologici, che quasi hanno preceduto la città stessa, “un luogo cardine durante gli anni di piombo, gli anni delle contestazioni, un luogo dove essere. Un ambiente così forte che ci ha ispirato per questo film di finzione”.

 

Micali, pur essendo un documentarista legato al suo territorio ha spesso trattato nei suoi lavori temi internazionali di denuncia sociale per esempio “Genova senza risposte” o ambientale come nel caso di “Nunca Mais”.

“Mi rende orgoglioso quando le persone mi considerano un regista impegnato, un regista politico. Credo poco al film di solo intrattenimento, mi piace l'idea che attraverso il cinema, l'audiovisivo emergano delle criticità sociali, delle problematiche, anche alleggerendo la pillola. Insomma, quei film che ti fanno ridere, ma anche pensare, come il cinema di Monicelli che io stimo molto.” Infatti il regista toscano un anno prima che morisse Mario Monicelli, girò quasi per scherzo un corto che doveva essere il funerale del Perrozzi, personaggio stimato di “Amici Miei”. Qualcosa che Monicelli, così come la città di Firenze, apprezzò moltissimo.

 

E' forse grazie a una carriera da documentarista che Micali, ne “L'Universale”, è riuscito a rendere bene ciò che erano quegli anni, i giovani, le contraddizioni, nonostante fosse un momento storico difficile e complesso. “Sono molto legato al documentario, mi piace partire dalla realtà delle storie” ed è stato proprio quest'insieme di testimonianze raccolte sull'Universale che l'ha ispirato a realizzare un'opera di finzione, malgrado le difficoltà. Scritto nel 2009 e girato nel 2014, il film è uscito nelle sale due anni più tardi. “Il cinema italiano ha vissuto un periodo molto più complesso di quello attuale fino a pochissimo tempo fa, il passaggio dalla pellicola al digitale, il blocco berlusconiano. Oggi il documentario, così come il film di finzione, ha la possibilità in qualche modo di essere visto, se non nelle sale, in tv, ai festival o nelle piattaforme web. Il problema è se si rientra nei costi che si hanno avuto, quindi la fase dello sviluppo ha sicuramente una criticità che va affrontata. In questo la nuova legge sul cinema ha compreso l'emergenza della difficoltà della dotazione economica nel nostro sistema e ispirandosi al modello francese, che ha funzionato, la nostra industria ha fatto sicuramente un passo avanti.”

 

Nella legge portata avanti dal ministro Franceschini, vi è un interesse rivolto al cinema così detto difficile. In particolare si pone attenzione anche alle sale d'essai. In questo senso, il film di Micali, pur essendo ambientato nel passato, ha un grosso legame con l'attualità. Si parla infatti nel film della chiusura e delle trasformazioni che l'Universale ha subito, lui come tante altre realtà sparse per tutta Italia. Qualcosa che viene visto da qualcuno con indifferenza, per altri invece è un grosso dolore perché consci forse del valore intrinseco di queste piccole sale che hanno dato molto alle persone, ma anche al cinema stesso. Era ed è l'occasione di assistere alla proiezione di film particolari in una situazione quasi familiare che si crea(va) tra persone che ama(va)no la settima arte.

 

Per chi appartiene alla “vecchia” generazione, il cinema ha un'anima: quel fumo che annebbiava la visione, il profumo di un uomo, di una donna, l'odore delle sigarette, si dilatavano i sensi, si sentiva il rumore della moquette o il cigolio delle poltrone in legno, senza dimenticare il ruvido velluto che a volte le ricopriva. In quelle proiezioni si esaltava l'umanità che stava dentro lo spettatore e che era allo stesso tempo parte intima di chi prima aveva girato quei film, si cresceva insieme in quel luogo di aggregazione, di comunità.

Questa cosa però con la chiusura dei monosala si è persa man mano, si è rimasti in pochi e non vi è ricambio generazionale, perché oggi i giovani non si vedono quasi più. I multisala si riempiono, ma restano freddi, non c'è più quel calore che si formava nei piccoli cinema, quell'affiatamento, quel miscuglio di emozioni condivise. Vige l'individualismo e le persone hanno paura di mostrare, di far sentire agli altri le propri emozioni, quell'attimo umano che è parte di ognuno di noi. Sembra quasi un'utopia tornare a comprendere i nostri sensi, imparare di nuovo a essere persone. “L'universale” in questo è la fiamma di un qualcosa che si sta spegnendo, forse di quei cinema d'essai che sono (l'ultima manciata di) emozioni per chi crede ancora con fervore nell'arte cinematografica.

 

 

 

 

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Von Chanelly

Manifesto 0, 9 novembre 2016

 

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