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Alessandro Rak

Regista, Fumettista e Illustratore

 

Vedi il trailer de

L'ARTE DELLA FELICITA'

MANIFESTO 0: 

Il tuo film è qualcosa di diverso nel panorama del cinema italiano. Perché hai scelto proprio l'animazione e non la fiction o il documentario?

 

ALESSANDRO RAK:

In realtà il film mi è stato commissionato, quindi l'idea di usare l'animazione piuttosto che la fiction è stata un'idea del produttore Luciano Stella (Mad Enterteinament). Lui mi ha contattato per quello che io so fare: da quando sono piccolo mi occupo di disegno, mi appassiona l'animazione e questo è il mio modo per raccontare. Lui mi ha chiamato perché aveva interesse a fare questo tipo di lavoro in quel modo, con quel approccio visivo. Serviva un film che traghettasse questo genere di tematiche e che portasse questo titolo altisonante con cui è difficile confrontarsi. Io ho accettato la sfida e ci ho lavorato insieme sul tavolo della sceneggiatura spalla a spalla. Abbiamo esplorato quali potevano essere le sue ragioni, del fatto di fare un film a cartoni animati con questo tipo

di approccio realistico, che parlasse di questi tempi.

 

 

 

 

MANIFESTO 0:

La distribuzione in Italia è davvero un ambiente difficile. La maggior parte delle

sale sono occupate da blockbuster, commedie e molte volte i registi

indipendenti o pochi conosciuti non riescono a trovare un proprio spazio.

Tu però ci sei riuscito. Come sei arrivato nelle sale? Ci sarà anche una

distribuzione estera?

 

ALESSANDRO RAK:

Non ho seguito il momento della distribuzione così come quello della produzione, mi sono state affidate grandi responsabilità rispetto al budget nel momento in cui abbiamo dovuto lavorare il film. Infatti il film è stato fatto su grandissime restrizioni economiche, del personale, di spazi, di tutto. Ogni idea che mi è venuta a partire dalla sceneggiatura era calibrata e misurata sulle possibilità effettive e nasceva con l'idea stessa di andare a risolvere queste problematiche ponendo sempre però il lato artistico perché prima di tutto il film deve avere un senso.

E' stato divertente fare questo progetto nel momento in cui si è cercata la riconciliazione tra ambiti che sembrerebbero completamente differenti tra loro: artistico, tecnico, economico-produttivo e anche quello umano, nel senso che poi hai a che fare con persone ognuna con i propri pregi e difetti. Per quanto riguarda la distribuzione estera so che il film è stato venduto in Sud America, è stato acquistato da una grossa casa di distribuzione internazionale che ha sede a Parigi, quindi c'è l'intenzione della vendita all'estero, nonostante il mercato dei film d'animazione non sia facilissimo.

Il film sta facendo anche un giro di festival, per esempio ora è stato selezionato al Festival di Madrid. In Italia invece è uscito nelle sale delle principali città italiane il 21 novembre.

 

 

 

 

MANIFESTO 0:

Il tuo film “L'arte della felicità” è ambientato in una Napoli sì apocalittica ma non è la Napoli di sempre, con quella visione un po' drammatica e cupa che spesso vediamo nei film italiani ambientati in questa città. C'è un motivo specifico per cui hai scelto quella città?

 

ALESSANDRO RAK:

Il motivo principale mio ma soprattutto del produttore è stato il fatto che le persone

erano di Napoli quindi possedevano un background culturale del territorio molto

ampio. Non sarebbe stato lo stesso se avessimo chiesto di ambientare il film in

Kamkacha, sia per motivi economici che di ricerca e anche umani/culturali.

 

 

 

 

MANIFESTO 0:

Il film tratta anche una tematica in un certo senso scomoda, un argomento che si cerca

il più delle volte di accantonare: l'anima. C'è una frase che in particolare mi hanno

colpito: “Sempre le stesse anime riciclate in mille sacchetti diversi, viviamo mille volte e mille volte siamo da buttare”. E' una frase forte a mio parere e volevo chiederti se è parte di un tuo pensiero o se è solo una frase lanciata allo spettatore per farlo pensare?

 

ALESSANDRO RAK:

La frase allude alla filosofia buddista in cui c'è una vaga idea di reincarnazione e la frase è addebitata a un personaggio che appartiene alla sua caratterizzazione. C'è un iter che trovo condivisibile e cioè il fatto che noi siamo all'interno di un discorso della vita che ci vede come interpreti momentanei, passeggeri.

 

 

 

 

MANIFESTO 0:

Tu e Andrea Scoppetta nel 2001 avete fondato lo studio di animazione Rak&Scop creando

un profittevole sodalizio. Come vi siete conosciuti?

 

 

ALESSANDRO RAK:

Innanzitutto vorrei dire che non è niente di legalizzato, io e Andrea ci siamo trovati in

amicizia e abbiamo “costruito” questo studio, nel senso che ci mettevamo là e facevamo.

Io e Andrea abbiamo fatto dei percorsi paralleli senza conoscerci. Siamo tutti e due di

Napoli, ci siamo trasferiti a Roma e nel periodo in cui io studiavo il corso di regia di cinema d'animazione al Centro Sperimentale di Cinematografia lui faceva l'Istituto Europeo di Design, entrambi nel settore dell'animazione. Successivamente ci siamo incrociati a Napoli alla scuola di Comix: lui era lì come studente io invece ero in contatto con il direttore nel caso in cui avessi potuto insegnare, cosa che poi appunto accadde. Io incominciai a insegnare e Andrea ebbi modo di conoscerlo lì, nel senso che poi anche lui divenne docente e ci alternavamo come insegnanti nel corso di illustrazione. Avevamo molte passioni in comune: il cinema d'animazione, l'illustrazione, i fumetti e incominciammo a collaborare e poi siamo cresciuti assieme artisticamente. Adesso siamo un po' separati perché lui si occupa di illustrazione e fumetto mentre io di cinema. Però separati si fa per dire perché comunque anche se lui vive a Roma e io a Napoli, ci continuiamo a sentire, c'è sempre l'idea di rincontrarci ogni volta che c'è un progetto nuovo.

 

 

 

 

MANIFESTO 0:

L'ultimo esempio di film d'animazione italiano è stato il film di Iginio Straffi GLADIATORI interamente fatto in CGI. Cosa ne pensi di questa tecnica che sempre più si usa in questo campo?

 

ALESSANDRO RAK:

Io ho studiato tecniche tradizionali con Giulio Giannini che era il mio docente al CSC. All'epoca là c'era la pellicola 35mm del cinema muto con la pompetta collegata. Tutto il procedimento era analogico che poi era lo stesso dei primi film d'animazione. Il software, così come gli altri strumenti, mi appassiona. Anche in questo film c'è stata la 

presenza di una sperimentazione software e in un certo senso anche relazionale, a livello artistico e umano. Il discorso di affrontare le nuove tecnologie diventa fondamentale: quindici anni fa mentre io studiavo esse non esistevano, oggi invece sono alla portata di tutti anche economicamente e ciò è fantastico, ti dà un regime di possibilità infinite.

 

 

 

 

MANIFESTO 0:

Ci sono alcuni disegnatori cinematografici o fumettisti a cui ti sei ispirato e che trovi significativi

per il tuo stile e la tua carriera?

 

 

ALESSANDRO RAK:

Diciamo che a livello di Maestri non è detto che siano disegnatori di cinema o fumettisti, ma

possono lavorare anche in un altro ambito diverso da quello dell'animazione. Nel mio caso ce n'è sono molti, come Miyazaky, lui è fenomenale, però ad esempio ci sono corti d'autore che ho visto nell'arco di tutti questi anni ai festival in Francia che ti fanno vedere svariate tecniche, approcci diversi, tutti i tipi di narrazione, quindi là ci sono talmente tanti riferimenti che è impossibile capire chi ti ha influenzato.

 

 

 

 

MANIFESTO 0:

Tu sei anche fumettista...tra “Pellicola e Carta” quale preferisci?

 

 

ALESSANDRO RAK:

Io preferisco l'animazione sia al fumetto che all'illustrazione. Mentre quest'ultima è una

tavola che vive di vita propria, non deve avere una linearità con altre cose da realizzare il

fumetto così come l'animazione presuppongono già che ci sia una linea narrativa: è più

faticoso come processo e anche più razionale. Però tra i due privilegio l'animazione in

quanto è un lavoro più di gruppo che ti toglie dall'alienazione del fumettista che sta chiuso in una stanza a strutturare e fa tutto da solo. L'animazione è più coinvolgente.

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