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Caligola

Produzione: It./ USA 1979

Genere: Drammatico, erotico, storico
Durata: 
154' (versione integrale)

Regia: Tinto Brass, Bob Guccione (non accreditato) e Giancarlo Lui (non accreditato)

Soggetto: tratto da una sceneggiatura di Gore Vidal destinata a una mini serie tv diretta da R. Rossellini sulla vita di Caligola

Sceneggiatura: Gore Vidal, Bob Guccione e Giancarlo Lui

Produttore: Bob Guccione e Franco Rossellini (non accreditato)

Fotografia: Silvano Ippoliti
Scenografia: Danilo Donati

Costumi: Danilo Donati
Trucco: Guiseppe Banchelli e Jole Cecchini

Effetti: Franco Celli e Marcello Coccia

Montaggio: Nino Baragli e Russell Lloyd (non accreditato)

Musiche: Paul Clemente

Cast: Malcolm McDowell (Caligola), Teresa Ann Savoy (Drusilla), Guido Mannari (Macro), John Gielgud (Nerva), Peter O'Toole (Tiberio)

 

Premi:

 

-

 

 

Trama:

La storia narra del più folle tra gli imperatori romani, Gaio Cesare Germanico, detto Caligola, e tutta la

sequela di eccessi e crudeltà che contraddistinse il suo macabro regno.

 

 

Recensione: 

CALIGULA: la pellicola più scandalosa e controversa mai fatta prima del 1979 e che ancora oggi ha il suo

grande effetto sul pubblico, un kolossal italiano di tutto rispetto, capolavoro del genere erotico.

 

Angosciante, macabro, grottesco, a volte davvero ripugnante e vomitevole, trova la sua massima

espressione nei dettagli delle parti intime, nelle strazianti penetrazioni e sverginazioni, nei delicati tocchi e

nelle malformazioni fisiche, nelle orge e nell'arte del fellatio, ambientando le controversie della sessualità

in una monumentale ricostruzione dell'antica Roma con accurati costumi e una cupa fotografia.

 

CALIGULA ricorda vagamente FELLINI SATYRICON, non a caso il direttore artistico è Danilo Donati che fa di questo film una sublime creazione, e come detto in precedenza la fotografia, le scenografie, i costumi, sono di una bellezza unica, dove si scorge anche nel più piccolo (decori, accessori) una grande manodopera e un minuzioso accostamento tra buon gusto, arte e colori.

 

Quello che però colpisce, oltre a tutti gli aspetti visivi e cinematografici, è il cast composto da O'toole, Mirren, Gielgud e Mcdowell, a dir poco agghiacciante. Mcdowell, già affermato in ARANCIA MECCANICA, meriterebbe l'Oscar per questa sua splendida prova e invece l'élite critica l'ha semplicemente ignorato. Il ruolo che gli deve tanto "riconoscimento" è quello di Caligula: folle, infantile, immorale, portato all'autocompiacimento, tiranno, amante dell'edonismo. Espressioni e sguardi che non si dimenticano facilmente come lo stesso personaggio e quella danza imbarazzante che lo accompagna per tutto il film. Caligula è un personaggio capriccioso, perverso, che si diverte a giustiziare chi gli sta attorno, pur tenuto a freno da Drusilla, la sorella di cui è innamorato profondamente. Sarà proprio al momento della morte di Drusilla che Caligula andrà fuori di testa definitivamente, anche se nella sua pazzia ad un certo punto riesce a intravedere la verità: il mondo che lo circonda gli appare per ciò che è, e cioè un mondo malato, fatto di nobili annoiati e pervertiti, dove il buon senso è ucciso dall'istinto umano. Caligula non rimane un personaggio freddo, lontano dallo spettatore, Tinto Brass lo fa ruotare intorno ad una psicologia ben definita: ogni essere umano, che lo voglia o meno, ha un piccolo Caligula dentro di sé, ognuno possiede una certa mostruosità, uno stile di vita non così

diverso dalla natura umana. Caligula non si pone limiti e sfoga i suoi istinti, le persone ritenute “per bene” invece sopprimono i loro istinti. Non è un caso se la storia di Caligula ha un forte parallelismo con la società odierna.

 

Al di là dell'aspetto morale Brass lascia spazio anche alla met-art che si evidenzia in una di quelle scene che furono censurate negli Stati Uniti nella seconda versione (già censurata in precedenza) diretta da Guccione e da Lui, e cioè la scena delle lesbiche che fu la consacrazione di due grandi attrici del genere: Anneka Di Lorenzo e Lori Wagner.

 

Brass ha voluto spingersi sul versante erotico per mostrarci la vera faccia della sessualità: il

piacere sessuale così come lo intendiamo noi, e come lo hanno inteso molte culture di altri

tempi, non è lo stesso che percepivano gli antichi greci. Per loro non esisteva maschio e

femmina, i due erano una cosa sola o meglio strumenti materiali per la ricerca di un piacere,

da quello più frivolo a quello più febbrile. Nell'antichità quelli che oggi si catalogano come

eterosessuali, omosessuali, "trans", travestiti, ermafroditi, non esistevano, non c'era questa

distinzione, erano tutti bisessuali. Si veda il teatro greco, con il processo del travestimento,

della catarsi e anche della filosofia, qui riportata con il canto di Ovidio nella scena della

piscina. Risulta triste che questo modo di pensare e di vivere sia andato perduto: catalogare

le persone per l'orientamento sessuale e disprezzare il modo in cui si raggiunge il piacere

(scambisti, sadomaso, misstress, orge, menage a trois, feticisti) significa assopire l'istinto dell'uomo non per ragione ma per religione. Non è un caso che nell'affermarsi della religione cristiana con la conquista dell'Europa è avvenuta la sostituzione del profano con il sacro.

 

La pellicola non è solo un film erotico che vuole impressionare, ma contiene momenti drammatici che mutano in modo delicato per alcuni minuti l'atmosfera del film, come per esempio la scena dove la sorella del protagonista muore o in quella finale dove sua figlia viene uccisa sbattendole la testa sui gradini con un colpo secco, i corpi che rotolano giù dalla gradinata insieme al sangue lavato con l'acqua con estrema indifferenza, il cavallo bianco, a cui era tanto affezionato, nitrisce e il suo volto, con quegli occhi azzurri senza vita danno un loro particolare senso di drammaticità, forse un senso di tristezza, di pena per questo uomo.

 

Ascesa e decadimento di un personaggio storico, film chiave nella filmografia brassiana in quanto segna l'inizio di un nuovo Tinto che fa all-in d'ora in avanti sull'erotismo lasciandosi alle spalle il tanto amato e splendido periodo anarchico-surrealista.

 

 

 

Recensione a cura di Von Chanelly 

 

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