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Chiude il Centro Sperimentale di Cinematografia?

Nessuna certezza, nessun futuro. E' il tormentone di una generazione, la nostra, cresciuta

nel benessere tecnologico, ma sottratta anno dopo anno alle forme culturali di un Paese.

 

Nel 2011 la Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia (CSC), con alle spalle ben 80

anni di prosperosa attività, chiamata dalla Regione Abruzzo, apre una sede di Reportage

nella città terremotata di L'Aquila. Le cose però si complicano negli anni fino a ottobre 2015

in cui la Regione Abruzzo decide di non finanziare più la Scuola Nazionale di Cinema del CSC

venendo meno agli accordi contrattuali stabiliti cinque anni prima. A pagarne le spese, oltre

al corpo docente e a quello amministrativo, sono gli studenti, gli ultimi nove ragazzi di un

percorso di studi senza garanzia di continuità.

 

Questioni di politica o forse di economia che governano in modo fallimentare un baratro esponenziale senza fondo, ignorando la natura effettiva della cultura che comanda. Si guardi alla Cina, all'India, al Giappone o allo Stato Islamico: la cultura è talmente radicata da dettare legge sulla politica e sull'economia che o ne seguono l'andamento o si ritrovano disfatte. Un problema quello della nostra istruzione che è riflesso nell'educazione di una società civile non formata che non è capace di reagire. Aspettare, senza alcuna ragione apparente, il lento precipitare degli eventi.

 

Il silenzio delle istituzioni e la vergogna di una regione pronta a riaprire una Film Commission: ma con che coraggio le produzioni di fuori si potranno fidare di chi è reduce di contratti non stabiliti e di soldi non dati.

 

L'Aquila è stato un valido teatro in cui abbiamo capito molte cose sull'universo del giornalismo di ieri, ma soprattutto su quello di oggi. E' strano per la mia generazione formarsi in un ambiente in bilico tra tv e internet che evidenzia un netto distacco dalla generazione precedente, ma alcuni valori, che dovrebbero formare l'anima del reporter, vanno al di là dei mezzi.Siamo cresciuti sapendo che ciò che passa all'interno dei telegiornali sono flash di cui si crede di capire, ma che in realtà poco si comprende. Nella tv tutto è immediato, non c'è più spazio per quello che si potrebbe chiamare approfondimento, ma che è, in realtà, il prima e il dopo della notizia. Si viene bombardati in giro di pochi minuti da decine di news superflue provenienti da tutto il mondo. News estemporanee che non danno allo spettatore un senso logico e razionale a quello che vede e sente. Ci si accontenta dello scoop, dell'intrattenimento tragico di quel momento, ma del poi (forse più ordinario, ma nemmeno tanto) a nessuno

interessa descriverlo.Soprattutto con il trascorrere di un declino mediatico si sono aperti gli occhi su una cosa: le persone considerano la tv e i giornali come la loro ultima possibilità per farsi ascoltare, quando tutte le istituzioni, una dopo l'altra, le hanno respinte. Perché è vero che i giornalisti sono una brutta razza, ma è anche vero che se si crede ancora, con una certa ingenuità nel nobile e arduo fatto che l'informazione può aiutare a cambiare le cose, allora sì, i reporter hanno tutto il diritto di raccogliere e verificare le fonti per sensibilizzare la massa.

 

Nasce così la necessità di comprendere fino in fondo i tempi che stiamo vivendo, dalle leggi che governano il macrosistema, fino alle piccole realtà poco conosciute che si possono trovare anche in una cittadina come L'Aquila che nel suo silenzio è piena di vita e di storie ancora non raccontate tramite l'inchiesta. Era questo il nostro percorso e il nostro dovere, ma a oggi non vi è che un disinteresse generale che comporta il fallimento di ricerche e utilità, frutti di giovani menti che, tra una pacca sulle spalle e un calcio nel didietro, portano sul banco della concretezza dei sacrifici che non cambiano le realtà da un giorno all'altro, ma che costruiscono un vivere diverso dallo stato attuale per chi crede che le cose possano cambiare, per chi crede che questo potere stia, non solo nella mani dei media, ma anche in quelle dei giovani d'oggi.

 

 

Di Von Chanelly

Manifesto 0, 7 novembre 2015

 

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