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Davide Sacchetti

Davide Sacchetti nasce a Roma nel 1976, regista e figlio d'arte, il padre infatti è il noto sceneggiatore Dardano Sacchetti, inizia la sua carriera come assistente di regia prima e aiuto regista poi, in Italia e all'estero. Tra i vari titoli a cui ha partecipato spiccano GANGS OF NY, BLACK HAWK DOWN, THE PASSION, THE ITALIAN JOB, ANGELI E DEMONI, LETTERS TO JULIET. Negli anni ha lavorato inoltre a molti spot per note case automobilistiche (Renault, Ferrari,) e non solo: Nokia, Vodafone, Coca Cola, Martini, Mastercard, Gillette, solo per citare le più famose. Oltre a una sana Gavetta, Sacchetti, si è potuto dedicare ad alcuni progetti personali, realizzando così cortometraggi, videoclip e documentari da Filmmaker indipendente. continua a leggere

 

 

MANIFESTO 0: Hai avuto una sana Gavetta che molto spesso manca ai giovani di oggi e i risultati poi si vedono. Lavorare a fianco a determinate figure cinematografiche, nazionali e non, ti ha influenzato in qualche modo?

 

DAVIDE SACCHETTI: È dal '99 che mi mantengo facendo l'aiuto regista ed ho avuto la fortuna di partecipare alla realizzazione di diversi film importanti. La risposta è chiaramente si: quelle esperienze mi hanno formato tantissimo come persona, ho imparato un mestiere e ho cercato di assorbire tutto il possibile dai vari 'maestri' che mi è capitato di incontrare, registi e non solo.

In realtà però, devo anche dire che le varie cose che ho visto fare su quei set non mi hanno influenzato più di tanto dal punto di vista creativo/autoriale, sicuramente molto di più da quello pratico. Questo ovviamente non perchè non abbia da imparare dalle persone con cui ho lavorato (ci mancherebbe!), ma più perchè, facendo parte di una troupe, si hanno un'infinità di compiti piccoli o grandi che ti impegnano tutto il giorno per settimane... Diventa quindi molto difficile e raro poter avere la lucidità di fare un passo di lato e analizzare quello che succede: sei come la rotella di un vagone di una montagna russa, non è semplice riuscire ad apprezzare la bellezza e l'insieme della giostra e delle sue evoluzioni, devi pensare a stare sul binario. D'altro canto però è anche come il 'dai la cera – togli la cera' di karate kid: mentre lo fai pensi di stare facendo delle boriose faccende domestiche, poi magari ti ritrovi, in modo quasi inconsapevole, a saper fare/parare una mossa da cintura nera nel momento del bisogno.

Quello che voglio dire è che si può sicuramente assorbire un metodo e capire come all'atto pratico si realizzano scene d'impatto e credo anche che l'esperienza e la competenza siano qualità molto importanti per un regista, anche se non sono sempre elementi chiave perchè un film sia poi apprezzato in sala. Non è detto che il regista più esperto e preparato faccia poi il film migliore, anche se ovviamente è meglio per tutti lavorare con qualcuno che ha idee precise e sa come metterle in pratica. Detto questo, purtroppo non basta stare a pochi metri da registi dal talento indiscusso per assorbirne le qualità. Le idee originali bisogna averle, coltivarle e costruirsele da soli.

 

 

 

MANIFESTO 0: EROTIC DREAMS è un documentario girato negli anni '80 ma solo nel 2010 è stato rimontato per il Museo del Sesso di NY. Come sei venuto in possesso di quel materiale? E come mai hai scelto di rimontarlo dopo trent'anni?

 

DAVIDE SACCHETTI: Erotic Dreams è un'opportunitá che mi è capitata per caso: la proposta di rimontare questo vecchio filmato mi è arrivata da un amico che ha contatti con l'America (il filmato originale era in mano a un'altra persona che a sua volta collabora con il museo del sesso di New York) e mi ha chiesto se volessi provare a rimontarlo e a dargli nuova vita. Devo dire che ho trovato stimolante e molto divertente metterci mano insieme al mio montatore. Ci sono un uomo e una donna (due attori americani del mondo softcore anni 70-80, con tanto di capello cotonato alla 'Dallas'!), che presentano tutta una serie di oggetti, dipinti e reperti di epoche diverse legati al sesso, per spiegare come veniva vissuto e concepito nelle varie culture. Il proprietario del filmato voleva dargli una 'rinfrescata' e renderlo più divertente per ripresentarlo al museo del sesso al pubblico di oggi, quindi lo abbiamo rimescolato dandogli un ritmo nuovo, stravolgendo la consecutio della storia con i tagli e rifacendo la musica.

 

 

 

MANIFESTO 0: Ti sei diviso spesso tra documentario e cortometraggi. Tra i due c'è una preferenza?

 

DAVIDE SACCHETTI: No. Mi piacciono tutti e due e mi diverto molto sia con gli uni che con gli altri, mi dedico all'una o all'altra cosa a seconda dell'ispirazione del momento e delle possibilità di realizzazione.

 

 

 

MANIFESTO 0: Come ti sei trovato a girare documentari in un sistema cinematografico come quello italiano dove il mercato dei documentari è troppo spesso declassato?

 

DAVIDE SACCHETTI: Molto bene a girarli, sono state esperienze belle e costruttive, ma molto meno bene - e sicuramente in buona parte anche per ignoranza/colpa mia, oltre alle difficoltà che tutti conosciamo - a distribuirli e cercare di farli vedere e venderli.

Quasi tutti i miei lavori sono stati realizzati con il seguente metodo 'scientifico': mi piace una storia, trovo il modo di realizzarla e.... 'poi se vede'. Ecco, anche se sia la logica che diverse persone a più riprese mi avevano avvertito e consigliato di fare diversamente, devo dire che dopo averci sbattuto la testa svariate volte ho capito che questo sistema non paga, sia in senso metaforico che letterale.

Però devo anche dire che sinceramente mi viene difficile (purtroppo!) mettere nella stessa frase i documentari e il 'sistema cinematografico nostrano', visto che vederli al cinema è praticamente impossibile, anche quelli realizzati con tutti i criteri giusti e seguendo metodi meno scientifici del mio... E' un mercato quasi inesistente ed è un peccato, perchè diventa molto difficile trasformare quella che, per quasi tutti quelli realizzano documentari, è una passione, in un lavoro, dal momento in cui non girano soldi e non ci guadagna nessuno.

Ti faccio un esempio pratico: il documentario che ho girato a Il Cairo è andato in onda in Francia, Spagna, Portogallo e Grecia (in Italia non se lo è filato nessuno) e, a fronte di un budget di quasi 30.000€ spesi per la produzione, ciascuna emittente l'ha comprato a cifre tra i 1200-1400€; quindi lavorando da indipendenti e senza un accordo per la distribuzione, solo per rientrare dei costi bisogna rivendere un progetto di quel tipo decine di volte. Il che significa passare mesi e spendere altri soldi per promuoverlo, iscriverlo ai festival etc. Anche se in quel caso, per fortuna, avevo trovato un finanziatore che era felice di assumersi il rischio di quella produzione, dopo un po' si è stancato e, facendo un altro lavoro, aveva altri progetti da seguire e io non avevo i fondi per continuare a promuoverlo.

In sintesi, sono convinto che, a meno che non si abbia una storia incredibilmente bella unita ad un gran culo e/o agganci e contatti diretti, sia molto difficile far emergere i documentari in Italia. Una soluzione può essere provare prima a fare 'rumore' fuori, cercando di vincere premi in paesi in cui è più facile trovare gente interessata e abituata a dare il giusto valore ai documentari, per poi eventualmente rientrare da noi.

 

 

 

MANIFESTO 0: LEGIO XIII è un cortometraggio di genere peplum, horror e azione. E' risaputo che i film di genere nel mondo indipendente non sono una rarità a differenza del mercato delle grandi produzioni italiane. Come è stato per te il momento della distribuzione? Il pubblico come ha reagito alla visione del film?

 

DAVIDE SACCHETTI: Legio XIII è stata un'esperienza bellissima e fondamentale per me, un lavoro al quale tengo tantissimo, ma che per vari motivi è stato molto confuso sin dall'inizio e, di conseguenza, anche la fase di distribuzione è stata un caos totale.

Per spiegare com'è andata la distribuzione devo fare una premessa: visto che, tranne pochi elementi, ci abbiamo lavorato tutti gratis e solo nei momenti in cui il meteo e gli impegni di vita/lavoro di 50 e alcuni giorni anche più persone, nonché dei mezzi tecnici, si incastravano felicemente, ci abbiamo messo più di un anno e mezzo per fare 9 giorni e mezzo di riprese e non so quante settimane di post.

Inizialmente avevamo un produttore che si era impegnato a seguire tutta la lavorazione (post e distribuzione inclusa) ma, dopo averci dato i soldi per iniziare, a causa di una serie di incomprensioni si è tirato indietro; mi sono ritrovato quindi a dover gestire un circo molto complesso e variegato, composto da tantissime persone e reparti senza avere più tutte le soluzioni che venivano insieme a lui. Di conseguenza, nei mesi successivi, ho coinvolto (nel senso di 'trovato soldi presso') vari amici, che per fortuna hanno risposto con entusiasmo e ci hanno permesso di ripartire e realizzare il corto, ma nessuno di loro è un vero e proprio produttore / distributore con il risultato di non avere qualcuno che fosse responsabile della distribuzione che conoscesse quel lavoro e che potesse dedicargli il tempo e l'energia necessari.

Ci abbiamo pensato io, il montatore, il co-autore e l'organizzatore a iscriverlo ad alcuni festival nei ritagli di tempo con (aihmè!) risultati piuttosto scarsi rispetto a quello che secondo me è il valore potenziale del corto.

Per quanto riguarda invece la reazione del pubblico, è sempre un misto di.... entusiasmo con un pizzico di perplessità. Entusiasmo perchè ci sono oggettivamente diverse sequenze molto spettacolari e poi l'ambientazione, la musica, la fotografia, il montaggio, i costumi, l'azione, gli effetti sono tutte cose estremamente curate e ben riuscite; perplessità perchè, a causa di tutti i problemi che abbiamo avuto nella lavorazione, non siamo riusciti a girare come volevamo un elemento visivamente importante e significativo della storia che richiedeva settimane di preparazione da parte degli sfx - e non è mai stato possibile dargli con certezza l'anticipo necessario sulla data delle riprese che si spostavano di continuo.

Questa cosa mi ha quindi costretto a chiudere la storia senza riuscire a dare il giusto risalto a quell'elemento e ad appesantire parecchio il narratore e i sottotitoli per sostituirlo (è narrato in inglese e i personaggi parlano in latino, con sottotitoli in italiano e/o inglese). In pratica piuttosto che capire lo svolgersi della trama attraverso le immagini, ci sono dei momenti in cui se uno si perde anche un solo sottotitolo o un minimo passaggio del narratore rischia poi di non capire il senso di alcune inquadrature chiave e anche quello generale della storia. Ma considerando che a più riprese questo corto ha rischiato di non vedere la luce affatto, sono comunque soddisfatto del risultato nonostante tutto.

Basta essere MOLTO concentrati durante la visione, capire l'inglese, il latino - oppure riuscire a leggere tutti i sottotitoli - senza perdere neanche un'inquadratura ed effettivamente fila e torna tutto...

 

 

 

MANIFESTO 0: Spero non possa essere una domanda scomoda, ma essere figlio d'arte per te cosa ha voluto dire? Nel cinema italiano specialmente in questi ultimi decenni c'è stato un vero boom di figli d'arte che però sono stati spesso criticati inferiori ai padri (Vanzina, Verdone, De Sica).

 

DAVIDE SACCHETTI: Non mi da alcun fastidio questa domanda: penso proprio sia pacifico dire che per il momento sono ancora molto lontano dal dovermi preoccupare sia di eventuali paragoni a mio padre, che anche di essere accostato agli altri figli d'arte che hai citato. Mio padre alla mia età aveva già scritto non so neanche quante sceneggiature di successo – certo era un'altra epoca e si facevano molti più film, di tutti i generi, però i fatti parlano chiaro: la strada per me è ancora molto lunga prima di pensare ad eventuali paragoni. Ho realizzato poche cose e tutte indipendenti, quasi tutte praticamente inedite (infatti è da quando mi hai contattato che mi chiedo dove e come mi abbiate trovato!).

Comunque non ho mai sentito il 'peso' dell'essere figlio d'arte, ho un ottimo rapporto con mio padre e ho iniziato a 'rubare con gli occhi' il mestiere da bambino proprio dentro casa: riunioni di sceneggiatura, telefonate con registi e produttori, la ricerca di un soggetto su libri, quotidiani, fumetti, la preparazione di corsi di sceneggiatura etc sono tutte cose alle quali ho assistito con curiosità e che, nel momento in cui ho deciso di fare questo mestiere, mi sono ritrovato a conoscere. Tutti hanno un profumo, un rumore, un colore, un qualcosa che gli ricorda immediatamente 'Casa': per me è il ticchettio incessante della macchina da scrivere.

Da un punto di vista professionale, ho avuto pochissimo a che fare con mio padre, solo all'inizio della mia carriera da aiuto regista: quando frequentavo ancora l'università mi è capitato di aiutare un mio amico a fare un mediometraggio in 16mm e, fatta quell'esperienza, ho iniziato a rompere le scatole a mio padre perchè, visto che mi ero divertito da morire, volevo provare a lavorare sul set e non conoscevo nessun altro che potesse aiutarmi. Dopo qualche mese in cui lui cercava di dissuadermi e io continuavo a insistere, mi disse che stava iniziando la preparazione di un film Alberto Negrin, un regista con cui lui aveva lavorato e che stimava, mi diede il suo numero e io andai a incontrarlo. Mi presero come volontario e misero in paga solo diverse settimane dopo a riprese iniziate, ma da li in poi ho lavorato su tutti gli altri set sempre e solo grazie ai contatti e ai rapporti che mi sono costruito da solo.

Per quanto riguarda i miei lavori personali invece, non l'ho praticamente mai coinvolto – e visti i risultati non proprio entusiasmanti, probabilmente ho fatto male! Ultimamente invece mi sto confrontando con lui più spesso sui miei nuovi progetti.

In generale credo che essere figlio di uno sceneggiatore mi abbia sicuramente aiutato da tanti punti di vista, visto che sto cercando, anche se con un ruolo diverso, di seguire (e possibilmente prima o poi superare!) le sue orme: parto sicuramente con una serie di nozioni già acquisite e con la possibilità di confrontarmi quotidianamente con un professionista esperto che ovviamente mi vuole bene, ma questo non vuol dire che abbia la strada spianata, visto che comunque, come ho descritto prima, fatico come tanti altri a realizzare i miei progetti.

 

 

 

MANIFESTO 0: Il tuo prossimo progetto?

 

DAVIDE SACCHETTI: Sopravvivere al 2013, alla crisi economica, possibilmente riuscendo a mantenermi con i miei progetti!

Ovvero: sto facendo ricerca e scrivendo un documentario su una questione che ho scoperto di recente e che mi ha appassionato molto: la presenza italiana in Cina con una vera e propria colonia dal 1900 al 1947. Ci sono diversi personaggi e storie incredibili legate a questa avventura, secondo me ci sono anche dei soggetti molto interessanti per fare uno o più film, ma sono complicati e costosi. Voglio quindi iniziare con un documentario per approfondire la questione e poi capire se c'è la possibilità di fare anche altro.

 

A parte questo sto lavorando anche a un soggetto per un film per il mercato giapponese, ambientato tra Giappone e Italia. Mi è capitato di lavorare diverse volte su produzioni giapponesi e credo che, benchè non sia per niente facile, ci siano più possibilità di riuscire a trovare qualcuno disposto a investire e fare film interessanti in paesi e mercati diversi e lontani dal nostro.

Inoltre sto anche lavorando insieme ad altre due persone a un format per la tv, che è incentrato su videogiochi, atleti professionisti e tifosi – un'esperienza completamente diversa dalle cose che faccio abitualmente, ma molto creativa e potenzialmente divertente.

Aldilà della crisi e del sopravvivere, spero proprio di riuscire a mettere in piedi almeno una di queste cose entro l'anno.

 

 

 

MANIFESTO 0: Cinecittà Bene Comune. Pensi che la gestione pubblica possa aiutare a migliorare le nostre produzioni?

 

DAVIDE SACCHETTI: Ho iniziato a lavorare proprio a Cinecittà, quando a qualsiasi ora del giorno c'era la fila al bar ed era un'impresa riuscire a prendere un caffè, quando c'erano decine di film in lavorazione in contemporanea e altri in preparazione e non si riusciva a parcheggiare da nessuna parte, quando le attrezzerie, le sartorie e i vari laboratori pullulavano di gente e c'era un viavai incessante di comparse che si spostavano in massa, vestiti con costumi di ogni genere e, comunque, già allora si respirava purtroppo un'aria di decadenza. Cinecittà ha quasi cento anni. Per tornare ad essere competitiva con i Teatri di posa costruiti in questi ultimi anni grazie agli investimenti delle Major nei vari paesi in cui si fa il cinema oggi, servirebbe, a mio avviso, una cosa che questo paese non ha mai avuto: un governo che ritenga il cinema un'industria e una fonte di lavoro e di cultura importante per il paese e che dia a Cinecittà un ruolo centrale. La gestione di Cinecittà andrebbe messa in mano a gente competente in grado di fare programmi a lunga scadenza e con investimenti importanti alle spalle. Non serve tanto capire come fare un film domani, ma capire come tornare a farne tanti per i prossimi 50 anni. Se Cinecittà è in grave crisi da qualche anno, secondo me, non è solo perchè è stata gestita malissimo in quest'ultimo periodo, ma è soprattutto perchè non si è pensato e programmato il suo futuro negli ultimi 30-40 anni. La cattiva gestione è più una conseguenza che una causa. E' un problema che a mio avviso è legato a un vizio tutto italiano: se ho una gelateria davanti al Colosseo, ti vendo un gelato di merda a un prezzo esorbitante, tanto se vuoi vedere il Colosseo e mangiare un gelato sei praticamente obbligato a prenderlo da me e non mi interessa migliorarmi e aggiornarmi, tanto qualcun altro ci cascherà sempre. A parte il fatto che è una mentalità sbagliata, il problema è che comunque Cinecittà non è uno dei tanti monumenti che abbiamo solo noi al mondo e che attira gente semplicemente perchè sta ancora in piedi: non c'è un solo motivo oggi per cui sia conveniente venire qui a fare un film da girare interamente o quasi in teatro.

Appoggio in pieno le iniziative di politica diretta e gestione del territorio da parte dei cittadini e sono assolutamente d'accordo che Cinecittà vada salvata e penso che Cinecittà Bene Comune sia un'iniziativa assolutamente lodevole e importante e ovviamente spero che possa continuare a risvegliare le coscienze, non solo dei cittadini ma anche delle istituzioni; ma in tutta sincerità non credo che, in questo momento storico-economico, un movimento di questo tipo da solo, benchè possa fare molto per le emergenze abitative, la viabilità e le varie problematiche di quartiere, basti a rimettere in moto una macchina complessa come Cinecittà - se non si pensa in grande e a lunga scadenza, se non c'è un intervento dello stato o magari qualcuno che riesca coinvolgere una o più Major che puntino a realizzare una serie di film qui con tutto quello che ne consegue, Cinecittà Bene Comune rischia purtroppo di essere un grido strozzato. Un po' come se una persona con 40° di febbre inciampa e cade dal ventesimo piano, un amico se ne accorge, gli corre dietro e gli tira giù una scatola di aspirine: magari, se il malcapitato febbricitante riesce ad acchiappare le aspirine, riuscirà a far scendere la temperatura ad un più ragionevole 37.5°, ma purtroppo l'atterraggio rischia di essere comunque molto complicato... 

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