Deserto Rosso
Premi:
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1964: Mostra del Cinema di Venezia
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Leone d'oro al Miglior film
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1965 - Nastri d'argento
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Miglior fotografia a Carlo Di Palma
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1968 - Kansans City Film Critics Circle Awards
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Miglior film straniero
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Trama:
Giuliana ha tentato il suicidio. E’ affetta da turbe psichiche che paralizzano la sua normale capacità di
lavoro sia in famiglia che fuori. A detta degli psicologi non sa amare. Cerca contatti empatici con
sconosciuti che incontra per strada comprando i loro panini già iniziati. Desidera contemporaneamente
diversi oggetti d’amore pretendendo poi di dedicare a loro pari attenzioni senza scegliere. Giuliana un
giorno inizia una nuova amicizia. Con un amico di suo marito di nome Corrado. Un industriale, come
suo marito Ugo. Corrado però è atipico. Non è del tutto integrato con il suo ruolo. E’ animato da qualche
astrattezza comportamentale e di pensiero, comunica con i depressi. Si trova a Ravenna per reclutare
manodopera da mandare in Argentina. E’ attratto da Giuliana e cerca con lei un dialogo comunicativo,
penetrante, lontano da forme seduttive immediate. Corrado capisce le ragioni della depressione di
Giuliana. Sono ragioni che intaccano la personalità di molte persone del luogo. Persone immesse
brutalmente in un mondo di valori esasperatamente competitivi che assorbono tutto il quotidiano. Valori stranianti che hanno reciso le radici delle tradizioni locali abituate da tempo a un ritmo di lavoro lento e scorrevole e a rapporti umani più solidali. Antonioni dà un’immagine del mondo industriale del nord Italia negativa, di cui si capisce subito la sua forza invasiva e distruttiva nel tessuto sociale agricolo e artigianale. Un effetto alieno totale: dove i ruoli di responsabilità e potere richiesti dai metodi industriali prendono il sopravvento sul privato permeando minacciosamente anche la vita più intima delle persone.
Corrado pur percependo l’importanza degli effetti sociali dell’industrializzazione selvaggia non si ammala di depressione perché è un industriale di successo. Ha un potere reale e simbolico riconosciuto e accettato dalla comunità. Desidera semplicemente vivere, attraverso una donna sensibile e bella come Giuliana, la sua parte inconscia più contenuta e sofferta. Quella che non può manifestare nel suo ambiente abituale perché inopportuna. Giuliana accetta il dialogo fino ad arrivare, ormai preda della passione, a un rapporto completo con Corrado.
Recensione:
Il DESERTO ROSSO di Antonioni è un film che si rivede volentieri perché rappresenta un’opera riuscita di verismo moderno. Le scene si svolgono a Ravenna nella sua parte più industriale. Siamo agli inizi degli anni ’60 in pieno miracolo economico. Il tipo di industrializzazione è selvaggio: basato su numerosi impianti petrolchimici quasi tutti privi di depuratori e una centrale termoelettrica che espelle tonnellate di polveri. Un’industrializzazione che appare subito allo spettatore come portatrice di traumi profondi. Alcune anguille al ristorante conservano nel sapore tracce di petrolio. Il degrado territoriale è molto avanzato e ne risente anche la vita dei cittadini. Questi ultimi diventano oggetto di disagi nevrotici e depressivi. Disagi fortemente accentuati dalla scomparsa di ogni bellezza naturale. Il funesto complesso petrolchimico ha sostituito sia le pulite e ordinate baracche dei vecchi pescatori che gli impianti artigianali.
Il film si svolge senza alcuna preoccupazione spettacolare prediligendo atmosfere di tipo neorealistico e psicologico. Il regista si sofferma a lungo su diversi particolari sonori e perturbanti degli impianti industriali che rimandano ad aspetti simbolici di un’epoca. Significazioni storiche sul brutale cambiamento tecnologico e di pensiero. Cambiamento avvenuto in tempi troppo veloci per consentire un’adeguata integrazione degli abitanti della zona ai nuovi ritmi di vita. I dialoghi degli operai degli impianti sono diretti. Impostati su una forma espressiva basata sulla spontaneità e l’essenzialità.
I colori del contesto ambientale sono sbiaditi e freddi sempre privi dell’azzurro del cielo. Invasivi di spettri cenerognoli che richiamano fantasmi di malattie e morte. I colori appaiono sfuocati nel primo piano, scorrono impietosi davanti al movimento regolare della macchina da presa alternando sequenze ossessive di colori giallo e rosso ai colori grigi scuri delle strade e vie della città. Una città ormai priva di una vera identità.
In questo contesto cupo e minaccioso senza speranza viene messa a fuoco la depressione di Giuliana e l’arroganza cinica degli industriali che la circondano.
Ma subito dopo aver compiuto l’atto d’amore Giuliana si rende conto come anche in questo caso non può scegliere e assumersi responsabilità sull’oggetto d’amore. Sarebbe impossibile per lei portare avanti con l’amante un rapporto comunicativo di un certo valore senza entrare in conflitto con il figlio e il marito. Corrado quindi parte per Ferrara solo e deluso.
Giuliana rimprovera a Corrado di non essere riuscito a svelargli il senso della sua depressione: “C’è qualcosa di terribile nella realtà e nessuno me lo dice”, “neanche tu Corrado”, “non mi hai aiutato”.
Ma dopo l’esperienza con Corrado Giuliana sembra aver capito come si può imparare a convivere con la depressione. Ad esempio evitando ciò che ci attira ossessivamente e che ci crea una dipendenza senza sbocchi di soddisfazione.
Rispondendo ad una domanda sulla scomparsa degli uccelli, domanda postagli dal figlio appena uscito da un finto malessere, Giuliana trova conferma del suo cambiamento portando ad esempio il bel colore giallo primavera dei fumi delle ciminiere. Colore che attira inizialmente gli uccelli uccidendoli. In seguito i volatili imparano ad evitare con cura quel colore perché sanno che andrebbero incontro alla morte.
L’inconscio di Giuliana rifiuta ora la dipendenza nevrotica, delirante. Non cerca più un’autonomia assoluta dall’oggetto reale che gli dava il vantaggio illusorio di mantenere un immaginario più simile al sogno ma lungo una catena di dipendenze fantasmagoriche. La terapia che l’inconscio di Giuliana mette in atto, grazie all’esperienza con Corrado, riguarda una ritrovata capacità di riconoscere ed evitare il pericolo, di discernere l’umano in base a come si manifesta nelle sue reali intenzioni.
Corrado inconsapevolmente ha svolto una funzione da analista lasciandole una sua presenza: fantasmatica conscia. Un ricordo d’amore che la induce a reagire nei confronti di alcuni effetti oscuri della realtà. Un segno concreto di cambiamento anche terapeutico.
Recensione di Biagio Giordano
Produzione: It. / Fr. 1964
Genere: Drammatico
Durata: 120'
Regia: Michelangelo Antonioni
Soggetto: Michelangelo Antonioni, Tonino Guerra
Sceneggiatura: Michelangelo Antonioni, Tonino Guerra
Produttore: Tonino Cervi, Angelo Rizzoli
Fotografia: Carlo di Palma
Scenografia: Piero Poletto
Costumi: Gitt Magrini
Trucco: -
Montaggio: Eraldo Da Roms
Effetti Speciali: Franco Freda
Musiche: Giovanni Fusco, Cecilia Fusco, Carlo Savina, Vittorio Gelmetti
Cast: Monica Vitti (Giuliana), Carlo Chionetti (Ugo), Richard Harris (Corrado Zeller), Xenia Valderi (Linda), Aldo Grotti (Max), Rita Renoir (Emilia)
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