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MANIFESTO 0: Nella tua carriera sei stato sia scrittore che regista. Quale dei due mezzi ti ha dato modo di esprimerti di più? Le parole o le immagini?

FABIO ZULIANI: Pier Paolo Pasolini amava ricordare di essere un poeta “imprestato” al cinema, di estendere al visivo una formazione comunque principalmente basata su letteratura e pittura. Io potrei aggiungere “misticismo” a letteratura e pittura, ricordando innanzi tutto che mi sento un poeta romantico, usando questo vocabolo come riferimento alla corrente ottocentesca del Romanticismo. Il cinema per me è un lavoro, anche certamente una passione, perché raccontare storie è un mestiere molto interessante, ma avrei preferito fare il cantante rock, avere un rapporto più stretto e diretto con il pubblico, oppure fare il pittore, svegliarmi nel cuore della notte e dipingere!... Il regista (indipendente o meno) deve sempre fare i conti con i tempi di lavoro, con la ricerca di finanziamenti per il proprio progetto… un regista inizia magari a lavorare ad un film due o tre anni prima dell’inizio delle riprese; a volte è frustrante! Il mio è un ambiente che si può giudicare soltanto dall’interno, e più si punta in alto, più un regista da “artista” deve trasformarsi (volente o nolente) in “imprenditore”. Mi considero un sognatore, ma anche un imprenditore di me stesso.

M0: Molti film con un soggetto non originale vengono criticati per la loro errata o incompleta trasposizione letteraria. Che tipo di rapporto pensi ci sia tra letteratura e cinema?

 

FZ: A volte penoso, a volte interessante. Penso a S. Kubrick: “Arancia meccanica” e “Barry Lyndon” sono migliori come film che come romanzi; “The Shining” è molto bello come romanzo, altrettanto bello quanto diverso (a S. King non piacque!) come film. Diciamo pure che il cinema, soprattutto a Hollywood,  ha tranquillamente saccheggiato per più di un secolo da tutte le altre arti, particolarmente da letteratura e teatro. Questo è comunque un falso problema. Vorrei più spesso poter guardare film come “Memorie di una Geisha”, in questo caso il rapporto tra il romanzo di A. Golden e il film di R. Marshall non è affatto deludente. Se il romanzo dal quale il film è tratto è un buon romanzo, si parte sicuramente avvantaggiati. Io personalmente da alcuni anni vorrei fare un film dal romanzo di C. Levi “Cristo si è fermato a Eboli”, poi penso che la realtà contadina del libro sia già stata ben rappresentata nel 1979 dal film di F. Rosi…

M0: Come è nata la tua passione per gli USA? Vuoi raccontarci la tua avventura?

 

FZ: Ho vissuto i miei primi anni in un paese di campagna in Piemonte; da bambino la nonna materna (che mi ha allevato mentre i miei genitori lavoravano a Torino) mi raccontava storie avventurose riguardanti le sue sorelle emigrate in America. Sognavo i grandi spazi, fantasticavo su questa terra lontana piena di opportunità che guardavo su un vecchio atlante geografico… in seguito mi innamorai di un film che ha rappresentato molto per me: “Easy Rider” di D. Hopper; formai in me delle aspettative costruite sui miti americani degli anni ’50 e ’60: M. Brando, la Beat Generation, J. Hendrix, J. Morrison, il concerto di Woodstock… quando andai negli Stati Uniti, mi resi conto che l’America che io cercavo era svanita da tempo, rimaneva il “paesaggio” grandioso e monumentale, scenario di innumerevoli film western e indiani massacrati. Nel 2002 girai tra California e Arizona “South Rim”, la III parte del mio lungometraggio a episodi “PLAY”, in cui raccontai la fuga di un banchiere (che io stesso interpreto) da Los Angeles ai deserti selvaggi dell’Arizona. “South Rim” – come molte mie opere – è molto autobiografico, e ancora oggi vado in America per inseguire un sogno di libertà, non per cercare l’America delle rivoluzioni tecnologiche della Silicon Valley!

M0: Adoro Stanley Kubrick in assoluto uno dei maggiori registi del cinema mondiale. Se dovessi fare una classifica dei primi tre film che più ti sono piaciuti… (perché?)

 

FZ: Ho sempre amato S. Kubrick, ma non solo. Kubrick è stato il “genio” tra i geni del cinema, colui che è riuscito a “sdoganare” il cinema d’arte, trasformandolo in un grande “avvenimento” a livello mondiale. I. Bergman è stato invece il “poeta” del b/n, il regista più impegnato, colui che maggiormente ha scavato sui temi della donna e del silenzio di Dio. L. Buñuel fu il “surrealista visionario”, P. P. Pasolini il “ribelle”, M. Antonioni “l’intransigente”, L. Visconti “l’esteta”, F. Fellini “il sognatore”. Potrei continuare ancora, perché ci sono diversi altri autori che stimo molto e che mi hanno ispirato: S. Leone, A. Tarkovsky, A. Kurosawa, R. Polanski, W. Herzog… Rispetto al cinema di oggi (dominato dal realismo inglese!) preferisco il cinema che va dagli anni ’50 agli anni ’70. C’erano intellettuali veri; i registi di oggi tendono a non piacermi, perché pur disponendo di grandi budget prestano il fianco a film stereotipati e mediocri. Ripeto: pur disponendo di grandi, sovente grandissimi budget! Penso ad esempio alla Nouvelle Vague, all’idea di poter fare grandi opere con dei costi contenuti (in questo senso F. Truffaut con “I quattrocento colpi” fece miracoli!). Tra i contemporanei salvo Ciprì e Maresco, perché hanno creato un loro stile, unico e irripetibile, gli unici che hanno veramente osato, fondendo assieme il sacro ed il profano, il poetico ed il blasfemo. I primi tre film che mi piacciono sono: “2001: Odissea nello spazio” e “Arancia meccanica” di S. Kubrick, “Dersu Uzala” di A. Kurosawa. Perché? Perché sono dei capolavori tuttora insuperati!

M0: La tua esperienza con Carmelo Bene?

 

FZ: C. Bene rappresenta un capitolo a parte nella mia vita. Incontrai Bene a Roma nel ’94, in occasione del suo “uno contro tutti” al M. Costanzo Show. Ricevo ancora oggi delle mail per la domanda (ingenuamente formulata) rivolta al Maestro: “Tu credi nel demonio?”; in realtà non era questo che volevo chiedere a Bene, ma ero allora troppo giovane per interagire con un genio come lui. Quella sera capii cosa volesse dire trovarsi davanti un vero grande artista (io c’ero!); percepii molta energia al teatro Parioli, una “vitalità” impetuosa e beffarda che ci travolse! In seguito tolsi dalle pareti i poster di D. Bowie e dei Rolling Stones, ed iniziai a documentarmi seriamente su C. Bene, in un decennio in cui ancora non esisteva internet, perciò, per reperire materiale artistico o interviste rilasciate dal Maestro era necessario farsi aprire (tra mille difficoltà) gli archivi RAI. Rividi Bene diverse altre volte, ed era sempre emozionante ed iniziatico, come un tocco “tantrico” che risvegliò la mia Kundalini, ma a differenza di altri artisti che furono “vampirizzati” dalla sua magnetica personalità, finendo per scimmiottare goffamente il suo teatro e le sue provocazioni, io cercai di cogliere da Bene la serietà, la forza e la coerenza di un uomo che ebbe il coraggio di festeggiare da vivo il proprio funerale!… C. Bene era principalmente un grande, grandissimo poeta.

M0: Nel 2008 hai scritto un romanzo “La vanità inferiore”. Essendo anche regista, hai mai pensato di farne una trasposizione? Ti piacerebbe che qualcuno la facesse?

 

FZ: “La vanità inferiore” ha segnato il mio esordio nella narrativa. Scelsi un soggetto d’amore a sfondo erotico ispirato a "Sonata a Kreutzer" di L. N. Tolstoj, per sviluppare una storia di ossessioni e grandi passioni rivolte al mondo delle lolite di oggi. Dopo l’uscita del mio romanzo pensai subito ad una trasposizione cinematografica, poi decisi di usare il romanzo solo come punto di riferimento per sviluppare un nuovo soggetto per un film; nacque così la prima versione della sceneggiatura de “Il vento oltre la collina”, progetto sul quale sto attualmente lavorando e mio sesto film. Per quanto riguarda “La vanità inferiore”, mi piacerebbe vendere i diritti di sfruttamento ad un altro autore capace di interpretare gli stati d’animo e la rabbia struggente che l’amore può talvolta far scaturire. Sì, mi piacerebbe vedere un altro regista interpretare un mio testo; io ho difficoltà a realizzare film con sceneggiature non mie, ma accetterei questo gioco interpretativo tra me ed un altro artista. Mi piacerebbe che quest’altro artista fosse M. Bellocchio…

M0: Hai mai pensato di comunicare le tue poesie tramite un altro mezzo di comunicazione come il cinema?

 

FZ: Certo! Tra il ’92 ed il ’96 realizzai un film molto indipendente e personale: “Poïesis”. Ancora una volta un film ad episodi, dove in ognuno di essi interpreto una mia poesia in un ambiente differente, accompagnato da un brano musicale. Il connubio parola/musica/gesto ha dato vita ad uno spazio interpretativo sicuramente più teatrale che cinematografico, ma formativo per la mia crescita artistica. Amo la poesia, ma il “senso poetico” di un’opera d’arte può anche svincolarsi dalla tradizionale lettura di un componimento poetico. Intendo dire che cerco di conferire poesia a tutto quello che faccio; scavando in me la poesia è uno strumento per arrivare a Dio, non l’unico, ma uno dei più forti. Ho pubblicato diversi libri e raccolte di poesie, ai tempi del M. Costanzo Show ero diventato abbastanza popolare, questo perché riuscii a leggere dei miei versi in televisione… un tentativo disperato di usare un mezzo differente per arrivare alla gente; oggi un discorso del genere risulterebbe impossibile da portare avanti.

M0:  “La casa con le finestre ad archi” vuole essere una citazione del film di Avati?

FZ: “La casa con le finestre ad archi” è un lungometraggio horror che tratta il tema della possessione demoniaca. Fu girato nel 2000 in tempi record (circa dieci giorni) quasi interamente in un casolare decadente in Valchiusella. Il titolo potrebbe sembrare una citazione, in realtà il casolare presentava inquietanti finestre ad archi che mi suggerirono questo titolo. “La casa con le finestre ad archi” fu una mia incursione nel genere horror vero e proprio, presentammo la versione lunga dell’opera ad una società di distribuzione americana in Arizona. Di questo progetto esiste anche una versione corta di circa venti minuti, una “rielaborazione” fatta di recente; ma il film che veramente mi rappresenta maggiormente è “Play”, un film surrealista/sperimentale girato in tanti e tanti anni di lavoro. Questo film è lontano anni luce dal cinema contemporaneo americano del quale ci siamo nutriti per anni, ma scavando dentro le mie percezioni ho portato alla luce un mondo parallelo, uno spazio-tempo che disintegra l'illusione della realtà. Sono orgoglioso di quanto ho fatto, anche perché “Play” non invecchia con il passare degli anni, ma al contrario trova nuovo pubblico che lo scopre e se ne innamora. Nella mia carriera “Play” è un piccolo “cult”, un film visionario per chi cerca qualcosa di diverso nel panorama acquiescente del cinema mainstream delle multisale.

M0: Nel film “Mr Raven Show” hai interpretato ben 15 personaggi diversi, in più eri anche regista. È stato difficile tenere tutto sotto controllo?

 

FZ: “Mr Raven Show” fu una follia, la mia incursione nella commedia, ma anche un omaggio al genere trash all’italiana. Tutto cominciò con l’idea di fare un film da “mattatore”, interpretando – come faceva C. Verdone agli esordi – tutti i ruoli principali. Coinvolsi anche in questo progetto diversi esponenti della cultura bd/sm, come il “guru” del bondage Dr. Fatso. “Mr Raven Show” è un lungometraggio composto da venticinque episodi nei quali interpreto appunto quindici personaggi diversi (diciamo i “pezzi forte” di una ben più grande galleria di personaggi). Mi sono divertito a girare questo film, ma anche stancato molto, perché oltre alla sceneggiatura e alla regia ho dovuto fare diverse diete per perdere o prendere peso in base al personaggio da inscenare. Solitamente ho dei tempi molto lunghi per maturare un film, girarlo, e curarne la post produzione; nel caso di “Mr Raven Show” c’era questo aspetto legato al “trasformismo” da mettere ulteriormente in conto. L’idea di interpretare nello stesso film personaggi maschili e femminili molto diversi tra loro, di imbastire un discorso un po’ ironico sul sesso, di parlare di bondage, Tantra e Kamasutra mi sembrava interessante, ma non intendo continuare sul genere della commedia sexy, preferisco tornare al registro surrealista di “Play”.

M0: Da cosa è nato il personaggio “Kamasutra Teacher”?

 

FZ: Tra i vari personaggi che compongono la strampalata galleria di personaggi da me interpretati, il “Kamasutra Teacher” è quello che più di ogni altro ha avuto successo all’estero, soprattutto in India e Indonesia, dove so esistere anche dei fan club! Su YouTube lo sketch “Kamasutra lessons – part I” tratto da “Mr Raven Show”, ha avuto in poco tempo più di un milione di visitatori, prevalentemente dall’India e dagli Stati Uniti. Chiaramente il termine “Kama Sutra” attrae, ma oltre ad aver trattato questo argomento in modo faceto nel mio film, sono realmente uno studioso del Kama Sutra di Vātsyāyana e della cultura indiana. Altri miei personaggi che sono piaciuti sono: “Noguru” il santone del Tantra, la parodia di Gabriele d’Annunzio, “Ninuzzo” il brigante tamarro e “Lolita”, la casalinga ninfomane moglie di Ninuzzo. Tra tutti, Ninuzzo è stato il più divertente da interpretare; mi sfogo sempre quando entro nei panni di questa creatura “trash”, maschilista e politicamente scorretta! Oltre ad amare il cinema impegnato di S. Kubrick, I. Bergman, P. P. Pasolini, M. Antonioni e gli altri grandi autori da me citati prima, ho un debole anche per la commedia sexy all’italiana e per F. Franchi, C. Ingrassia e le loro parodie.
  
M0: Il tuo prossimo progetto ti vedrà in veste di regista o di scrittore?

 

FZ: Entrambi. Il mio prossimo film (che già accennavo prima) si intitolerà “Il vento oltre la collina”, e sarà un film quasi interamente girato in Lucania. È un progetto che porto avanti dal 2010, sia in veste di sceneggiatore che di regista, e che vedrà Francesco Fortuna come attore protagonista. Si tratta di un lungometraggio in b/n dedicato ad una regione che ho imparato a conoscere e ad apprezzare soltanto negli ultimi anni, e che mi ha ispirato un senso di fuga verso l’antico nell’epoca della globalizzazione e del moderno. Non sarà un semplice viaggio tra i luoghi comuni o gli scenari collinari verdeggianti di questa regione, quanto un’interpretazione surrealista di ciò che maggiormente mi attirò verso la Lucania quando iniziai il mio “pellegrinaggio” nel profondo sud, quello che C. Bene definiva: “sud del Sud dei santi”. Nel cinema la città di Matera è stata più volte spacciata per l’antica Gerusalemme, ciò avvenne nel ’64 con “Il Vangelo secondo Matteo” di P. P. Pasolini, e in tempi più recenti con “The Passion” di M. Gibson; io ho in mente immagini associate alla drone music… sono molto ispirato verso questo progetto!

M0: Recentemente a Cinecittà sono successe varie cose. Come hai preso la sua situazione attuale?

 

FZ: A Cinecittà tutto si è stabilizzato nuovamente come immaginavo, ma non penso che questo cambi il destino di una struttura che già F. Fellini vedeva in declino. Cinecittà è stata letteralmente divorata dalla burocrazia e dalla politica; l’hanno depredata e saccheggiata in più riprese, fino a lasciarla in pasto agli studi televisivi ed ai tronisti. Negli anni ’60 a Cinecittà venivano girati più di trecento film ogni anno. C’era una vastissima scelta: dal film intellettuale al film storico su Maciste, il pubblico poteva scegliere che cosa andare a guardare! In quegli anni si giravano dei kolossal del calibro di “Cleopatra”, atterravano a Roma star di Hollywood come E. Taylor e R. Burton; di lì passò “La Dolce Vita” immortalata da R. Barillari, nacquero coproduzioni mondiali che oggigiorno senza D. De Laurentiis e veri produttori di quella generazione è solo possibile sognare! Che cosa rimane di tutto ciò? Ecco, Cinecittà anni ’60 sta a Cinecittà oggi almeno quanto l’Impero romano di G. Cesare sta all’attuale Roma… Inoltre il decreto legislativo n. 28/04 ha distrutto il concetto di cinema indipendente, una censura preventiva degli autori stessi ha compiuto il resto.

Fabio Zuliani

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