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Fari nella Nebbia

Produzione: It. 1942

Genere: Drammatico
Durata: 82′

Regia: Franco Franciolini

Soggetto: Alberto Pozzetti, Rinaldo Del Fabbro, Oreste Gasperini

Sceneggiatura: Corrado Alvaro, Edoardo Anton, Giuseppe Zucca
Produttore: Fauno Film
Fotografia: Aldo Tonti
Scenografia: Gastone Medin

Costumi: -

Trucco: -

Montaggio: -
Musiche: Enzo Masetti
Cast: Fosco Giacchetti (Cesare), Mariella Lotti (Anna), Luisa Ferida (Piera), Antonio Centa (Carlo), Dhia Cristiani (Gemma), Lauro Gazzolo (Egisto)

 

Premi:

-

 

 

Trama: 

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Recensione:

Girato in bianco e nero a Savona nei primi anni del secondo conflitto mondiale,  Fari nella nebbia sembra

ispirarsi in parte al realismo francese di Marcel Carnè, quello più impregnato di toni poetici, mantenendosi

però, nel complesso, a una rispettosa distanza dal cinema di oltre alpe, in particolare riguardo ai suoi

codici linguistici più diffusi che lo caratterizzavano con successo intorno agli anni ‘40.

Il film ha una buona originalità espressiva e un disincanto narrativo sulle cose tali da  far imprimere al

racconto una direzione immaginifica tutta sua, vicina per stile alle più note forme poetiche e realistiche

dei film occidentali in circolazione in Europa in quel periodo, anche se bisogna dire che l’argomento

trattato, la vita proletaria,  è lontano dai soggetti di allora.
Fari nella nebbia ha anche dei  forti contenuti naturalistici, che ricordano per tematiche trattate i migliori

scritti di E. Zola, quelli improntati su realtà che non scaturivano dall’immaginazione dello scrittore ma

dall’esplorazione di situazioni umane e sociali del tutto nuove, ricche di fatti di rilievo, in cui l’autore

scrutava e annotava con un forte distacco ciò che accadeva e vedeva.
Il regista Gianni Franciolini mette al centro del racconto la vita dei  camionisti di petrolio degli anni ’40, un’esistenza difficile, dalle relazioni  umane complesse, piena di insicurezze giornaliere, ma ricca di passioni estreme.
Sono temi forti quelli proposti da Fari nella nebbia che richiamano alla mente alcune indimenticabili pagine del cinema italiano degli anni ’50, del quale Franciolini con questo film sembra in un certo senso annunciarne l’imminente nascita, che avverrà sotto la denominazione di neorealismo  soltanto nel 1946, con il film Sciuscià di De Sica.
 

Gianni Franciolini prima della seconda guerra mondiale ha lavorato in Francia come collaboratore dei registi  J. Choux e G. Lacombe, e negli anni ’30 è stato aiuto regista di E. Deslaw; il suo primo lungometraggio fu il poliziesco L’ispettore Vargas (1940);  Fari nella nebbia , secondo film del regista, è forse dal punto di vista della  riuscita naturalistica-simbolica il film più significativo della sua carriera, nelle pellicole successive aggiungerà infatti ai suoi film modi diversi di raccontare, unendo al genere della commedia briosa all’italiana, aspetti fiabeschi, o forme leggermente satiriche con tratti pungenti chiaramente moralistici e pensieri leggeri di puro intrattenimento (vedi Racconti d’estate del 1958).

Con Fari nella nebbia Franciolini attrae subito i critici cinematografici per la sua verve compositiva e la tecnica di scrittura, che denotano, abbinati al suo magico modo di raccontare  per immagini, una straordinaria capacità nel  montaggio. Da sottolineare anche l’estrosa capacità del regista italiano nell’unire sapientemente figure simboliche primarie con oggetti secondari, ricchi quest’ultimi di allusioni complementari alla scena primaria, tipiche di un pensare per immagini ben articolato da cui scaturisce una più facile comunicazione dei significanti e significati in gioco. Successivamente queste doti   si coniugheranno felicemente anche con un talento crescente nel preparare la sceneggiatura, dando ai suoi pensieri e ai romanzi che utilizzerà per il cinema un indimenticabile e preziosa  trasposizione visiva. 
In qualche film il promettente regista italiano si farà apprezzare per alcune significative capacità analitiche, aventi per oggetto i  meccanismi psicologici che stanno alla base delle più comuni passioni umane,  dando ai suoi film una descrizione visiva accesa, riuscita che sarà espressa in parte in modo diretto e in parte, per ovvii motivi di insufficiente spazio diegetico (spazio narrativo) del cinema, solo in modo allusivo.
In questo senso egli tratterà con competenza e comunicatività sopra le righe questioni radicate in quegli anni in diversi nuclei famigliari, dove per gravi motivi isterici o degradi morali, l’adulterio, svelato da alcune circostanze sfavorevoli,   andava incontro a pesanti drammatizzazioni, con a volte evoluzioni anche tragiche.
Di Gianni Franciolini ricordiamo dei suoi tredici film, girati tra il 1940 e il 1959,  anche Giorni felici e Amanti senza amore.
Fari nella nebbia è stilisticamente complesso, se da una parte sembra introdurre novità che verranno riprese, più o meno consapevolmente, dal neorealismo italiano, dall’altra il suo linguaggio cinematografico appare fornito di  numerosi simbolismi, che per forza di cose  sono da considerare antitetici al realismo perché debordanti verso un gioco di metafore che impedisce la percezione diretta del  significato che racchiudono.
 

​Le  numerose riprese nella nebbia, nella pioggia, durante la notte, sembrano andare al di là di un linguaggio visivo e parlato esclusivamente legato al vero,  creando un’atmosfera caratterizzata da  toni evocativi, misteriosi, enigmatici che allontana dal gusto per la certezza e la chiarezza del senso dei fatti che accadono, suggerendo  in definitiva verità altre, più riposte, inconsce, da interpretare, quasi che esse fossero da scoprire riflettendo, ragionando come in un rebus, pensando se necessario a delle relazioni insolite,  e a domande e interrogativi che si prolungano inevitabilmente all’uscita dalla sala.

Nel film la fusione stilistica tra realismo e simbolismo dà maggior spessore psicologico alle passioni umane contenute nella narrazione, coinvolgendo lo spettatore in sensazioni più originali, tali da trascinarlo suo malgrado su un crinale psicologico non chiaro, imprevedibile, un po’ folle nella sua mobilità spiazzante e apertura tematica, spesso tagliente, pericoloso, dove la trasgressione  o l’efferatezza psicologica, tipica soprattutto della competizione di alcuni animali feroci, diventano le vere pulsioni protagoniste della storia, rendendo visibile a tratti macchie psichiche di un alter ego oscuro, indefinibile, pauroso,  votato al tragico, qualcosa  che in condizioni normali nessuno  immagina possa in qualche modo appartenergli.
Il film di Gianni  Franciolini  mostra passioni irrefrenabili, violente che sembrano non appartenere più all’humus culturale su cui crescevano i valori cristiani e laici in vigore in quel tempo, passioni che sorprendentemente appaiono estranee anche ai più noti comportamenti emozionali legati alle ideologie degli anni ’40. Il film sembra  rappresentare un mondo oscuro, ambiguo, presente solo nell’inconscio di ciascuno, di cui forse allora non si osava parlare per timore di evocarlo senza poterlo controllare, con effetti sociali irrimediabili.
I toni  bui della morte che accompagnano il film in quasi tutto il suo percorso, sono pertinenti al tema trattato, indicano il tutto della passione che è in gioco, la sua indifferenza al futuro e alla morte, lungo l’effetto dell’azzardo che in un certo senso l’avvolge e che è in grado di affascinare i personaggi ma portandoli in un secondo tempo allo stravolgimento e a una fine umiliante. Un buio  forte quindi, quasi costante che non può non richiamare negli spettatori anche la tristezza della popolazione italiana entrata in guerra per una discussa causa fascista che porterà le masse e il paese alla rovina, oltre ogni fervida immaginazione.
 

​Il film inizia con una scena notturna che si ripeterà più volte in flash back perché significativa di un’ossessione cui è preda il protagonista Cesare, camionista (Fosco Giachetti).  Si vede Anna ( Mariella Lotti), sua moglie, scendere a precipizio una rampa di scale di condominio, come se fosse sconvolta da qualcosa di burrascoso, forse una decisione appena presa irremovibilmente, e dietro di lei Cesare che la insegue per parlargli ancora. Il marito non riesce a raggiungerla e uscito da portone si avvia a prendere servizio  sul suo camion diretto a Savona.

Cesare e il suo secondo autista Gianni ( Mario Siletti) partono da Acqui diretti a Savona, ma la guida al volante di Cesare è molto nervosa, egli pensa ossessivamente alla lite appena avuta con la sua bella moglie, è sconvolto per la perdita della donna di cui si sente responsabile, tanto da decidere non appena terminato il viaggio a Savona di ritornare ad Acqui, dove risiede,.
Giunto in sede durante la notte a Cesare lo attende subito un nuovo viaggio per La Spezia con un camion di nuova concezione,  denominato 666, molto più potente dei precedenti. Dopo un’ animata discussione con Egisto (Lauro Gazzolo) anziano e severo capo reparto, risoluto nella decisione di farli partire subito, Cesare decide, seppur a malincuore, di continuare il viaggio. Dopo qualche chilometro, ad un bivio, anziché imboccare la strada per Genova prende a sorpresa quella per Acqui, avventurandosi nella nebbia  e a una velocità sostenuta verso casa sua, animato dalla speranza di avere notizie della moglie Anna, allontanasi da casa.
Alcuni flash back mostrano nel frattempo la scena completa della lite avvenuta tra Cesare e la consorte.  In sintesi si può dire che il senso del diverbio riguarda  l’insoddisfazione matrimoniale dei due. Anna pur amando Cesare è inappagata, accusa il marito di trascurarla e di fare un lavoro che danneggia la loro relazione perché lo costringe a stare  per troppo tempo lontano da casa,  inoltre nei giorni di riposo Cesare non la porta a ballare e non vuole imparare le tecniche del ballo, poi si veste solitamente in modo poco elegante portandosi dietro, per quanto riguarda il comportamento mondano, qualcosa dell’andazzo abitudinario preso nel lavoro.
Durante il viaggio la nebbia e la velocità procurano a Cesare e Gianni  un fastidioso incidente, per fortuna non grave, che però non gli impedirà di raggiungere Acqui. Giunto nella sua abitazione trova una lettera di addio di Anna.
Nel frattempo il film mostra alcune scene di vita mondana della moglie, che si svolgono in noti locali da ballo della zona; la donna pur corteggiata assiduamente da un certo Filippo ( Carlo Lombardi), noto don Giovanni, resisterà alle sue offerte dimostrando così la sua integrità psicofisica e di essere ancora innamorata del marito.
Al ritorno da Acqui, Cesare poco prima di giungere a Savona dà un passaggio a una bellissima donna,

Piera (Luisa Ferida), caduta dalla bicicletta, che rimane colpita dai modi virili di Cesare finendo per

dimostrargli in qualche modo un suo interessamento. Cesare non è indifferente ai segnali ammiccanti

di Piera. L’occasione per i due di iniziare un rapporto avviene casualmente in un bar a Savona, allietato

da una fisarmonica e dagli sguardi umili, sognanti, dei camionisti di provincia.
La loro storia sarà breve e intensa, entrerà in crisi quando Piera si accorgerà di non poter sostituire

totalmente Anna, la moglie di Cesare, perché egli non vuole farsi vedere in giro con lei, considerata da

tutti la sua amante, né fare con Piera scelte di convivenza più complete.
Piera lo tradirà con il suo nuovo secondo Carlo, e quando Cesare verrà a saperlo vorrà ucciderlo.

Mentre prepara  in casa la pistola per freddarlo,  trova improvvisamente Anna  in una stanza, la moglie

con il suo intuito femminile e alcune informazioni datele dalla consorte di Gianni, aveva capito cosa

poteva accadere ed era accorsa velocemente in suo aiuto.

Anna lo bacia appassionatamente e gli perdona tutto, facendogli capire che lo ama ancora e che è

disposta a ritornare a vivere con lui.
 

Cesare accetta entusiasta la proposta di Anna e si calma, ridiventando amico di Carlo. La pioggia battente che accompagna gli ultimi minuti del film sembra voler lavare tutti peccati di egoismo, orgoglio e viltà commessi dai protagonisti, aprendo qualche orizzonte di speranza per tutti.ore 11,30 di una calda giornata estiva, agli inizi degli anni ‘70, a Roma, quattro uomini mascherati scendono da una Alpha Romeo bianca e assaltano, armati, una 500 bleu con dentro un portavalori che ha in consegna gli stipendi dei dipendenti di una piccola azienda; nella colluttazione vengono uccise due guardie giurate e il portavalori stesso. Durante la fuga uno dei malviventi, un abile autista, viene ucciso da un colpo di fucile sparato da lunga distanza dalla polizia, un secondo colpo  provoca all’automobile dei rapinatori una perdita di carburante nella parte posteriore vicina al tubo di scarico.
I banditi  proseguono in tre, il capo chiamato "Dottore" (Maurice Poli), il folle "Bisturi" ( Don Backy) e l’insolente "Trentadue" (George Eastman), dopo un lungo inseguimento con la polizia  la loro automobile rimane  senza benzina e vengono quindi braccati dagli agenti nei pressi di un parcheggio sotterraneo, dove i tre, vistisi ormai perduti, prendono in ostaggio due donne.
Si crea quindi un violento confronto tra la polizia e i rapinatori, la posta in gioco è la libertà dei tre in cambio del rilascio degli ostaggi.  "Bisturi" però, in preda al panico, uccide una donna presa prigioniera, poi i tre, che hanno lasciato stupiti per la ferocia dell’omicidio anche gli agenti, riescono a fuggire insieme a Maria, l'altra donna ostaggio, con una automobile rubata.
Inizia un nuovo inseguimento, quando i malviventi si accorgono che il cerchio territoriale dei loro spostamenti si restringe sempre più perché le automobili della polizia cominciano a coordinarsi via radio, decidono di abbandonare l’auto e di fuggire a piedi con l’ostaggio.



Recensione di Biagio Giordano

 

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