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Il Gabbiano

Produzione: It. 1977

Genere: Drammatico
Durata: 132' 

Regia: Marco Bellocchio

Soggetto: Anton Pavlovič Čechov

Sceneggiatura: Marco Bellocchio, Lù Leone, Sandro

Petraglia, Stefano Rulli

Produttore: RAI

Fotografia: -
Scenografia: -

Costumi: -
Trucco: -

Effetti: -

Montaggio: -

Musiche: -

Cast: Laura Betti (Arkadina), Pamela Villoresi (Nina Remo), Girone (Kostja), Giulio Brogi (Trigorin)

 

Premi:

 

-

 

 

Trama:

Costantin, figlio di Irina, celebre attrice, mette in scena nella tenuta materna del Veneto un suo dramma per

conquistare l'amore della ricca e giovane Nina che, invece, segue in città un letterato maturo, già amante di

Irina, e ne sarà abbandonata. 

 

 

Recensione: 

IL GABBIANO, così come TIMONE D'ATENE, appartiene a quel periodo in cui Bellocchio si espimeva con il

teatro nel cinema. Più che un film esso appare come un esperimento che unifica il cinema col teatro, uno

scambio reciproco tra schemi narrativi ove è possibile trovare un testo e dei codici di linguaggio intellettuale.

Un insieme di opere teatrali filmate che sembrano rispecchiare le condizioni dell'autore stesso, sottolineando

il valore della dimensione artistica, articolandolo di problematiche incentrate sulla vita e sull'identità,

un'autoriflessione sulla letteratura come mestiere e come creazione.

La pellicola si apre con un dettaglio di un oggetto che rappresenta il dramma del film, l'interiorità, la solitudine, la regressione, poi la mdp si sposta sui personaggi e la loro ricerca. Osservano il mondo che li circonda, così come quello dello spettacolo messo in piedi da Costantin, con estrema passività, chiusi nella loro villa, dove l'amore è qualcosa di frivolo in continuo pericolo di instabilità.

 

 

 

IL GABBIANO è una tragedia che ci mostra come il nuovo venga violentato dal vecchio, come i giovani vengano portati al suicidio per colpa degli adulti, come la nuova arte venga soppressa da quella vecchia. Scena che incarna questo senso di morte è quella in cui Costantin prende il gabbiano e lo uccide perché tradito: non è un caso che il gesto si ripeti con Trigorin quando farà lo stesso con Nina. SPOILER: Sfogo di questa immagine allegorica è il finale. Nina appare come se fosse un sogno, nell'oscurità, nel temporale, mentre i contadini cantano canzoni tipiche venete viaggiando nelle barche in mezzo al fiume, mettendo in evidenza la vita come oggetto irraggiungibile, esponendo il mito dell'andare, del vivere veramente. In effetti se si analizzano in modo profondo i personaggi si può notare che sono anime rinchiuse in questa villa dalle bellissime scenografie che riportano in vita i palazzi ottocenteschi e le vetrate liberty, per non parlare dei padiglioni sulla riva del fiume. Personaggi che si illudono, sognando e desiderando cose che non riusciranno mai a realizzare, molto probabilmente

perché contagiati da quella che per loro singolarmente è l'arte e l'essere artista. Per cercar di materializzare i loro sogni sono pronti a tutto, ma delirano cadendo nelle braccia della morte. Queste mura (le mura chiuse, piene di significato per il regista veneto) sono in contrapposizione con l'esterno, la vita, il movimento, rappresentati per l'appunto dalla città.

 

 

 

Come il protagonista anche il dottor Dorn è vittima di questo sogno dell'essere artista completo. Sorin contrariamente agli altri è l'unico che rinuncerà a tutti i desideri per ottenere il potere. Bellocchio usa la figura del suo "amato servo" come occasione per portare sullo schermo un domestico diverso da quello descritto da Cechov: lo innalza, non lo schiaccia. Nell'ultimissimo primo piano dello schiavo vediamo che il soggetto saluta la "famiglia" di cui non ha mai fatto veramente parte e con tono disprezzante dice "Scusate se vi ho disturbato". Dopo questo intervento finirà anche lui nel mucchio divenendo così un personaggio irritante e pericoloso. Il film termina con l'inquadratura sulle marionette abbandonate, evidente citazione al teatro e alla morte.

 

 

 

 

Recensione a cura di Von Chanelly

 

Trailer non disponibile!

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