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Il Pianeta degli Uomini Spenti

Produzione: It. 1961

Genere: Fantascienza
Durata: 102′

Regia: Antonio Margheriti

Soggetto: Ennio De Concini

Sceneggiatura: Ennio De Concini
Produttore: -
Fotografia: Marcello Masciocchi

Scenografie: Umberta Casarano
Costumi: -
Trucco: -

Montaggio: Mario Sandrelli
Effetti speciali: -
Musiche: Mario Migliardi

Cast: Claude Rains (Benson), Bill Carter (Bob), Umberto Orsini (Fred), Renzo Palmer (Barryson), Maya Brent (Eva), Jaqueline Derval (Evelyn)

 

Premi:

-

 

 

Trama:

Vedi sotto recensione

 

 

Recensione:

Antonio Margheriti alias Antony M. Dawson, utilizza per questo splendido film di fantascienza un

buon soggetto, originale per i tempi,  scritto da Ennio De Concini, un autore di valore che usa  lo

pseudonimo di Vasilij Petrov. 

 

Margheriti si avvale di una squadra di attori indubbiamente di alto livello professionale

comprensiva di qualche esordiente di talento, una mossa questa che risulterà probabilmente

decisiva per la riuscita stessa del film, in particolare per quanto riguarda l’aspetto della qualità

della forma espressiva dei dialoghi nonché la modulazione spontanea degli sguardi dei

personaggi nelle varie situazioni sceniche che appare solo raramente in posa. 

 

Tra gli attori giganteggia Claude Rains (famoso soprattutto per Notorius e Casablanca) da

apprezzare per la credibilità che dà al personaggio del dottor Benson: un professore geniale e paranoico che nella narrazione si impone subito, nettamente, come figura centrale.

 

 

 

 Il Pianeta Degli Uomini Spenti è uscito nel 1961 dopo la conclusione della grande fase

neorealista, fa parte quindi dei mitici anni ’60 del cinema italiano che hanno scosso e

stupito il mondo cinematografico per invenzioni artistiche, tematiche culturali, ed emozioni

di pancia (che per McCurry sono l’anima della grande fotografia) del tutto nuove, una

indimenticabile era d’oro italiana per l’arte, la cultura, lo spettacolo, che vede un’esplosione

mai vista, in tutti i generi filmici, di registi-autori di qualità, proiettati verso un successo di

critica e di pubblico insperato, anche internazionale. 

Registi per lo più autoriali che saranno in buona parte imitati, omaggiati per certi aspetti visivi

di inquadratura e modi di procedere narrativi, in tutto il mondo. Essi a volte saranno anche  criticati ma dopo studi profondi dei loro film e comunque lungo un rispetto e uno stile di fondo mai messi in discussione: una forma di confronto del tutto costruttiva, scevra, se non raramente, da ogni semplice e banale  ipocrisia affaristica. 

 

Dal punto di vista iconografico Il pianeta degli uomini spenti è un film quindi di grande pregio, senz’altro rappresenta una tappa evolutiva importante nella storia mondiale del linguaggio visivo del cinema di fantascienza. 

 

L’opera, studiata e ammirata anche dallo stesso Kubrick, ispirerà per certe innovazioni tecniche fotografiche e rappresentazioni iconiche particolarmente suggestive (vedi lo sbarco in posa sul pianeta alieno del gruppo di astronauti terrestri e le sequenze spaziali con lo sfondo del buio dell’universo) addirittura alcune inquadrature del film, capolavoro indiscusso di fantascienza, 2001 Odissea nello spazio del 1969.

 

 

 

 Il pianeta degli uomini spenti è diventato vintage solo da poco tempo, perché

animato figurativamente da una misteriosa bellezza postmodernista che gli ha

consentito di reggere bene il trascorrere degli anni. 

Sorprende che questo film abbia preso dei voti molto bassi dalla critica

cinematografica più influente, tanto da far pensare che i critici non abbiano proprio 

notato l’obiettivo valore d’insieme del film. 

 

Da quel che si legge sembra che ciò sia dovuto a un giudizio negativo particolare, che

esclude una critica al soggetto, ritenuto ben elaborato e trasposto in opera visiva con una certa efficacia, esso riguarda uno stridere degli effetti speciali della seconda parte del film rispetto alla prima dove vengono ritenuti indubbiamente migliori, se non addirittura di ottimo livello. 

 

Ma questo aspetto non è da ritenere grave ma marginale, perché nel complesso il film con la maggior parte dei suoi termini costitutivi regge bene, anche se il difetto messo in rilievo dai critici sembra sia stato riconosciuto dallo stesso Margheriti, tanto che in seguito prenderà la coraggiosa decisione di diventare responsabile primo degli effetti speciali dei suoi film e di firmare  il  lavoro svolto sugli effetti speciali con uno pseudonimo: per far pensare che in quel settore si operava con una attività di squadra professionalmente propria a quella mansione. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Certamente i critici hanno trascurato altri aspetti salienti del film, soprattutto la sua portata iconografica innovativa, cioè la conquista come linguaggio visivo di un nuovo punto di riferimento nella povera storia raffigurativa, almeno fino a quel momento, del cinema mondiale di fantascienza.

 

Il film di Margheriti si basa su un idea del tutto originale: narra di  un piccolo pianeta, a forma di luna molto ridotta, programmato da alieni intelligenti di chissà quale sistema solare, che sta per raggiungere la Terra  con scopi misteriosi, esso si avvicina paurosamente  alla nostra atmosfera scortato da numerosi e bellicosi dischi volanti. 

 

Tutti gli extraterrestri presenti in quel pianetino minaccioso, esecutori dell’ambizioso progetto  di cui non si conoscono i fini, risultano deceduti, ma il corpo-zattera, guidato da logiche memorizzate su grandi memorie ad alta tecnologia,   facenti capo a un super computer  cerca di portare a termine lo stesso la missione, e questo terrorizza gli umani che sono del tutto impreparati ad una eventualità del genere.

 

A contrapporsi alla minaccia oscura del corpo-straniero, che entrando nella nostra atmosfera sconvolgerebbe di fatto l’equilibro gravitazionale con catastrofiche conseguenze, ci proveranno, tra disaccordi anche gravi che porteranno a morti inutili, le forze dello Stato Maggiore militare e un equipe di grandi scienziati, coordinati dall’anziano, geniale e coraggioso Dottor Benson.

 

 

 

 

 Il film si avvale nella prima parte di un allestimento scenico illustrativo sopra le righe che

dà l’idea di un progetto ben realizzato, dagli effetti artistici  di architettura avanzata, dalle

forme e profili suggestivi, volute con alla base un disegno dalla grafica postmoderna, cosa

che conferirà al film una lunga vita sul piano puramente estetico prima di diventare di

fatto vintage. 

 

Anche i dialoghi che vedono come protagonista il professor Benson sono sempre di un certo spessore filosofico ed etico, cosa che accresce la serietà del film e di conseguenza la sua attendibilità, aspetto quest’ultimo molto importante perché  allontana dalla sala il senso di finzione che può accompagnare  ogni genere di film che trascuri certe costruzioni teatrali del piano recitativo.

 

L’opera di Margheriti per come riesce a costruire certi personaggi e per come allestisce alcune iconografie nelle sequenze sceniche chiave, sembra ispirarsi al Flash Gordon di Alex Raymond. 

Da sottolineare anche in questo film il buon esordio nel cinema di Giuliano Gemma.

 

Il pianeta degli uomini spenti (distribuito negli anni '70 anche con il titolo di Guerre planetarie) è il secondo lungometraggio di A. Margheriti, ed è ancora un film di fantascienza, il primo si intitolava Space Men (1960).

 

Dal punto di vista psicoanalitico è interessante la figura del professor Benson, che si carica gradualmente lungo la narrazione di un profilo impreziosito di note letterarie, ricco di un certo spessore culturale, assai raro nel cinema di fantascienza. La sua genialità lo rende paranoico, il ruolo da protagonista che si è assunto e che è stato anche riconosciuto dalla comunità scientifica in cui vive, lo costringe a ritirare ogni investimento psichico verso le persone che non sia di pura formalità, tanto che la libido priva di oggetti reali si ripiega sull’Io euforizzandolo a dismisura, facendoli perdere a un certo punto la capacità di distinguere il suo mondo formale e fantastico dal reale: racchiudente quest’ultimo i modi necessari per difendersi dai pericoli che insidiano la propria vita.

Recensione di Biagio Giordano

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