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Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

Produzione: It. 1970

Genere: Drammatico, thriller, psicologico, politico
Durata: 112

Regia: Elio Petri

Soggetto: Elio Petri, Ugo Pirro

Sceneggiatura: Elio Petri, Ugo Pirro
Produttore: Marina Cicogna, Daniele Senatore

Fotografia: Luigi Kuveiller

Scenografia: Carlo Egidi

Costumi: -

Trucco: -

Effetti Speciali: -

Montaggio: Ruggero Mastroianni

Musiche: Ennio Morricone

Cast: Gian Maria Volonté (commissario), Florida Bolkan (Augusta Terzi), Gianni Santuccio (questore), Salvo Randone (idraulico), Orazio Orlando (brigadiere Biglia), Arturo Dominici (dottor Mangani), Aldo Rendine (dottor Panunzio), Sergio Tramonti (Antonio Pace), Vittorio Duse (Canes)

 


 

Premi:

 

 

 

 

Trama:

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Recensione:

Quest’opera di Petri nei suoi aspetti più stilistici appartiene al glorioso genere del cinema politico

italiano. Il film seppur datato rispecchia sorprendentemente questioni politiche ed etiche di attualità.

La pellicola di Petri è una mirabile messa a fuoco di una grave nevrosi professionale: una patologia

psichica di cui è affetto un commissario di polizia di mezza età degli anni ’70. Nella nevrosi

confluiscono, lievitando a dismisura violenza psicologica, aspetti di relazioni istituzionali e politiche

nonché tratti di ideologie totalitarie.

 

Siamo a Roma in pieno ’68. Il clima politico è più che mai irrespirabile per chi ama l’ordine e la certezza

dei diritti. Esso è denso di insicurezze istituzionali di ogni genere. Gravido di ansie per il futuro per via

degli effetti caotici delle ideologie estremiste e delle loro sottili e subdole penetrazioni emotive che

minano le istituzioni da diverse e inaspettate angolazioni.

In questo contesto l’ossessione di ordine e di regole repressive a difesa della democrazia istituzionale

diventano per un ambizioso commissario di polizia della sezione omicidi un motivo sia di carriera che di affermazione ideologica personale. La sua passione politica si cristallizza pericolosamente in una forma di autoritarismo esageratamente bellicoso, qualcosa che passa per la via legittima dell’autorità che il potere gli dà.

Il commissario si cala profondamente nel suo ruolo ma lo fa in modo ambiguo per meglio allargare a forme personalizzate di ideologie punitive la sua azione. Lo fa fino al punto da trasformare il suo comportamento in servizio in una caricatura dell’uomo forte: sarcastico e punto di riferimento per i deboli.

Tale è il suo coinvolgimento nel lavoro che anche la sua vita privata ne rimane sempre più condizionata mettendo in pericolo la sua la libertà interiore. Il commissario sembra sacrificare quella parte di sé potenzialmente più creativa, una facoltà che forse misconosce e che è divenuta preda della nevrosi. Un disagio psichico che tutto divora per un fine sovraumano, illusorio.

Il forte investimento psichico nel ruolo che ricopre porta il commissario a non separare più la vita del lavoro dalla vita intima, intesa quest’ultima in tutte le sue varie manifestazioni psichiche più sottili. Il suo autoritarismo è dappertutto persino nei gesti più banali e ripetitivi della vita quotidiana.

Il passato del commissario sembra in gran parte segnato da educazioni rigide e ideologicamente totalitarie; educazioni avvenute nell’ambito di una cultura sociale fortemente inibitrice e povera di opzioni professionali alternative alla vita poliziesca. Esse si combinano inevitabilmente con le frustrazioni di potere che il commissario vive nel presente. Ne scaturisce una miscela esplosiva che porta a forme di erotismo trasgressivo, sfrenato e autoritario. Pulsioni che si esaltano attraverso il corpo di una bellissima donna borghese che il commissario frequenta da tempo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La relazione con l’amante assume via via connotati perversi-patologici di estrema passione che evolvono rapidamente in forme molto tagliate di sado-masochismo infantile: un erotismo che preannuncia la tragedia proprio attraverso i significati presenti nel tipo di gioco erotico. L’erotismo traccia una pista di significanti che dicono di una questione edipica non risolta. Agisce un desiderio irrefrenabile che gioca nei loro corpi, sempre più direttamente, con la morte e la vita. Un desiderio di cui la nevrosi accentua l’erogenità attraverso la complicità della carne. E’ qualcosa che indica lacanianamente una non corrispondenza tra desideri sessuali maschili e accoglimento soddisfacente di essi nel corpo femminile: nonostante i due sessi si desiderino ardentemente. La nevrosi del commissario indica un mancato superamento del complesso della minaccia di castrazione.

Vecchie paure e ansie edipiche del commissario-bambino si riattualizzano attraverso l’incontro-sembiante con una bella donna affetta da un odio patologico verso il padre. Una nevrosi che non si placa attraverso l’appagamento sessuale ma anzi tramite esso si aggrava gradualmente proprio perché dialetizza attraverso il sesso qualcosa che riguarda la rimozione della enunciazione “cosa vuole donna?”. Una dialettica dei desideri che porta a numerose scompensazioni delle resistenze rispetto alle rimozioni edipiche lasciando riemergere convulsamente tratti primari narcisisti.

Il commissario uccide l’amante per motivi passionali ma lo fa sapendo che con la giustizia potrebbe farla franca. Nella perdita del controllo delle sue pulsioni aggressive ha influito una morbosa curiosità ideologica tesa a conoscere i limiti del suo potere e di capire quanto le istituzioni sono disposte a rischiare in integrità etica e in efficienza a vantaggio del sommo principio della rivoluzione francese: “La legge è uguale per tutti”.

Il commissario confesserà ai suoi superiori e collaboratori il delitto ma paradossalmente non si procederà nei suoi confronti per mancanza di prove e indizi consistenti. Le numerose impronte che egli ha lasciato nel luogo del delitto non vengono distinte. Quelle che si combinano con i segni del delitto non vengono separate da quelle accidentali che riguardano l’intervento investigativo della polizia. Il commissario aveva visto giusto prevedendo che il potere si sarebbe chiuso su se stesso proteggendolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Petri in questo film si avvale di paradossi surreali e trasfigurazioni dei personaggi per rendere meglio l’idea di una politica che tende al mostruoso subdolo.

La patologia nevrotica del commissario è il segno di una realtà malata e invisibile che evolve verso un ignoto irrapresentabile. Qualcosa quindi di impossibile decifrazione etica. Molto cambierà in futuro ma per Petri non possiamo che esserne spettatori, mai protagonisti. Forze oggettive senza nome né sembianze forgiano le dinamiche sociali e culturali quindi anche alcune nevrosi. A noi, stranieri del banale aberrante, non resta che analizzare i sintomi. Tuttavia le nostre analisi sono subito datate. Superate da ciò che non conosciamo ancora e che è ben presente con una miriade di fili invisibili negli infiniti registri del sociale.

Petri è indifferente al giudizio umano e divino. Mostra con efficacia qualcosa che non si riesce a raccontare in forme letterarie lineari e chiare, qualcosa che accade con orrida regolarità proprio là dove l’istituzione è preposta a ricostruire il misfatto umano per meglio giudicarlo.

Per Petri allora tutto diventa tecnico e disumano lasciando filtrare silenziosamente la propria primigenia voglia di dominio e di potere assoluto. 




Recensione di Biagio Giordano

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