top of page

Joe Bastardi

Joe Bastardi è un giovane regista, montatore e DOP italiano nato in Sardegna l'11 novembre 1987. Nel 2010 viene in contatto con il soggetto di un amico e decide di farlo diventare un film, così realizza un Fake Trailer senza però ottenere alcun risultato. Nel frattempo gira diversi videoclip e diventa montatore e direttore della fotografia in un documentario sul passaggio in Albania dai manicomi alle case famiglie dal titolo QUESTO NON E' UN VIAGGIO diretto da Enrico Pau. Nel 2011 gira WHITE RABBIT mentre nel 2012 è co-regista in BUIO insieme al regista Jacopo Cullin., un cortometraggio che ha vinto a diversi film festival. A novembre dello stesso anno Joe parte per Capo Verde dove gira un documentario sulla musica locale CRETCHEU. Nel 2013 gira UN ATTO DI DOLORE, ritenuto dal regista, il suo primo e vero cortometraggio.



Link al sito di Joe Bastardi

 

MANIFESTO 0:  Joe Bastardi, come mai questo pseudonimo?

JOE BASTARDI: È una storia lunga e allo stesso tempo molto meno avvincente di quanto si possa immaginare. Tanti anni fa, stavo con una ragazza che studiava biologia e, mentre compilava un erbario, mi disse che nel giardino di casa dei miei cresce una pianta che si chiama Fumaria Bastarii. Un amico, scherzando, mi chiamò Joe (come tutti mi chiamano fin da piccolo) Bastardii. Io, pensai che suonava bene e che poteva funzionare. Quindi tolsi l'ultima “i” e divenni Joe Bastardi. Solo dopo scoprii che la mia non era una trovata originale, ma che in America esistevano diversi Joe Bastardi, uno dei quali molto famoso!!





M0: Tre anni fa hai girato un Fake Trailer per una sceneggiatura che volevi far diventare un lungometraggio ma non hai trovato alcun produttore che te lo finanziasse. Sei ancora deciso a girarlo? E come pensi di muoverti prossimamente per realizzarlo?


JB: In realtà trovai un produttore sardo, di Sassari. Con lui portammo avanti un discorso interessante. Solo dopo scoprii che stava cercando di imbrogliarmi e che già aveva rovinato altre persone e allora mi tirai in dietro, non concedendogli i diritti della sceneggiatura. Quella vicenda mi fece molto male e decisi di lasciar perdere per un po' il cinema. Ma la passione era troppo forte e qualche tempo dopo incontrai Jacopo e tanti altri che mi fecero “riscoprire” una sorta di genuinità artistica. Il progetto per il momento resta nel cassetto. È troppo costoso per una piccola produzione (costerebbe circa un milione e mezzo di euro, senza avere grandi stars nel cast). Ma è comunque il primo vero film che io ho scritto e spero tanto che le cose vadano bene e che possa, un giorno, arrivare al primo ciak, anche se andrebbe riadattato, dal  momento in cui tante delle cose che avevamo previsto come fantapolitiche nel film, ormai si sono già avverate.


 

M0: Se non erro il soggetto del tuo amico era destinato a un cortometraggio. Qual'è stato il motivo che ti ha portato a trasformarlo in un lungometraggio?

JB: Il soggetto iniziale, aveva al suo interno tante dinamiche che spingevano per essere sviluppate. Forse ho sbagliato a trasformarlo subito in un lungometraggio, ma c'erano all'interno, delle intuizioni che non potevano non essere raccontate con ampio respiro.

M0: WHITE RABBIT, l'hai definito un esercizio di stile, nel senso che il cortometraggio è stato un esperimento con il quale ti sei servito per conoscerti come regista?


JB: In realtà ogni elaborato è in qualche modo un approccio con se stessi, un modo per entrare in contatto con il proprio sé che ancora non si conosce. Ho voluto girare questa piccola favola metropolitana, che tra poco sarà finalmente ultimata, per capire come lavorare con i bambini (è stata un'esperienza fantastica), e allo stesso tempo per cercare una sorta di tratto autoriale. In ogni caso, un occhio attento, capirà che c'è un prima e un dopo WHITE RABBIT. Da un punto di vista stilistico ho preso un'altra strada.

M0: CRETCHEU è un documentario che hai girato a Capo Verde e che ora è in fase di post-produzione. E' ben conosciuta la precarietà del documentario in Italia. Cercherai comunque di distribuirlo anche qui o già pensi a un pubblico prettamente estero?
 

JB: Abbiamo avuto diversi contatti sia in Italia che all'estero. Sicuramente gli Stati Uniti e il Nord Europa sono mercati più interessanti e più attenti a certe tematiche e al documentario in sé, visto come mezzo d'espressione e anche come veicolo d'informazione, ma spero che possa essere fruibile anche sul mercato nostrano.

M0: Il tuo ultimo lavoro, UN ATTO DI DOLORE, ora in post produzione, tocca un argomento molto forte per l'Italia, non hai paura che il tuo corto possa essere censurato o subisca critiche di parte?
 

JB: Credo tratti un argomento molto forte non solo per l'Italia. Con questo lavoro, non dico niente di nuovo, ma, spostando il punto di vista, ho cercato di raccontarlo in un modo, questo si, nuovo. È possibile che il film scateni critiche, ma non ci sono gli estremi per una censura di fatto. Ho cercato di argomentare con delicatezza e intelligenza, puntando a un prodotto che all'interno della polemica avesse una grande possibilità di riflessione e introspezione. Ma, penso che dovremo aspettare un po' di tempo, prima di capire se ho fatto centro o meno.

M0: Cinecittà sta cercando di diventare Bene Comune. Tu cosa ne pensi a proposito? Credi che Cinecittà debba smettere di essere privata?
 

JB: Mah, dici che va un po' in controtendenza, no?
Negli ultimi anni, Cinecittà non è più fruibile. A causa degli elevati costi grandi e piccole produzioni stanno girando altrove, e questo è un grande danno per l'Italia, sia  economico che d'immagine. Per quanto io sia un forte sostenitore della “statalizzazione dei mezzi di produzione culturali e non”, credo che il problema, oggi, non sia da individuare nella dualità pubblico-privato, quanto in una condizione generale che vede la cultura sempre più screditata, e un popolo che non ha gli strumenti per comprendere un film di medio livello. Con questo voglio dire che potrebbe essere una cosa positiva la riconversione in bene comune, ma questo solo non basterà a far ripartire il più grande polo cinematografico europeo, se non ci saranno delle politiche mirate ad un valorizzazione del panorama culturale che sia slegato da un sistema industriale/capitalistico.

Collaborazioni: 

Se anche tu vuoi collaborare con Manifesto 0 o chiedere la pubblicazione di un qualsiasi contenuto inerente scrivici a Emme0Mzero@gmail.com

Tag più frequenti: 

© 2012 - 2017 by Manifesto Ø

bottom of page