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Negli anni '80 non tutto fu perduto: tra i vari disastri ci furono registi affermati ed esordienti che cercarono di saldare quello che stava cadendo a pezzi: Pupi Avati con UNA GITA SCOLASTICA (1983) e il beffardo REGALO DI NATALE (1986), Marco Tullio Giordana con LA CADUTA DEGLI ANGELI RIBELLI (1981), Gianni Amelio con COLPIRE AL CUORE (1983) e I RAGAZZI DI VIA PANISPERNA (1989), due opere che non sono destinate a criticare, ma mostrano il corso degli eventi partendo dalle singole persone, dal nucleo familiare, Mario Brenta con MAICOL (1988), Giuseppe Ferrara con CENTO GIORNI A PALERMO (1984), Maurizio Ponzi con IO, CHIARA E LO SCURO (1982) uno dei pochi esempi di commedia pura, in cui non si trovano volgarità gratuite, Pasquale Squitieri con lo storico biografico CLARETTA (1984), Francesca Archibugi con l'opera prima MIGNON E' PARTITA (1988) una pellicola incontaminata, spoglia dalla febbrile

rincorsa al tema sociale, Franco Piavoli con lo sperimentale IL PIANETA AZZURRO (1982) e la rivisitazione personale molto poetica del mito di Ulisse NOSTOS (1989) dove gli scarsi dialoghi sono ispirati a suoni di antiche lingue del Mediterraneo, Giuseppe Tornatore con NUOVO CINEMA PARADISO (1988) un continuo rimando ai grandi capolavori del cinema mondiale del passato e all'infanzia autobiografica del regista, un capolavoro stracolmo soprattutto di nostalgia per un mondo che si era resettato ma che all'improvviso ricompare spolverando forti ricordi, Marco Risi con MERY PER SEMPRE (1989) dove sono riconoscibili le tracce del movimento neorealista.

 

I registi più noti continuarono per la loro strada producendo opere memorabili: il cupo E LA NAVE VA (Federico Fellini, 1983) che sembra sottolineare la fine stessa del cinema italiano, LA NOTTE DI SAN LORENZO (fratelli Taviani, 1982) sincero affresco della cruda campagna toscana degli anni '40, un film che non guarda tanto alla guerra quanto alla dignità, all'umiltà, alla povertà delle persone, TRE FRATELLI (Francesco Rosi, 1981) che porta a galla il tema del terrorismo, quello dello sfruttamento della classe operaia e del disagio giovanile nei confronti della povertà, un'introspezione psicologica profonda, una malinconia di fondo, un passato che ogni volta che riaffiora fa cadere la sicurezza dei protagonisti. Bernardo Bertolucci rispolvera il kolossal con L'ULTIMO IMPERATORE (1988), a cui fanno seguito l'affresco politico e sociale di un'epoca ormai giunta al termine NOVECENTO (1976) e IL CONFORMISTA (1970)

profonda opera psicoanalitica scandita da molteplici flashback e da una continua messa in discussione politica.

Sfortunatamente in un sistema che cambia anche il mercato inizia a intraprendere un nuovo gioco, le regole del passato non potevano più essere usate, i produttori cambiarono, non sembravano avere più amore e coraggio per il rischio, la fiducia nei giovani, un forte intuito, un'acuta capacità di trovare le sovvenzioni, l'improvvisazione elevata ad arte sembrava essere scomparsa. Il problema della nuova generazione degli anni '80 fu quello di non saper e non voler pensare in grande, riducendo così il proprio cinema da internazionale a nicchia.

 

“Eh, d'altra parte. Al di là dei se..se..se..minimalisti, è indispensabile tornare a pensare in grande anche se si è piccoli, senza rinunciare a portarsi dietro l'eredità e il patrimonio dei saperi artigianali che permangono in tutti i settori, e riuscire a investire in ricerca visiva, sonora, narrativa, muovendosi verso le nuove frontiere che dischiudono a un numero di soggetti infinitamente superiori che in passato.” G. P. Brunetta.

 

Altro grosso problema furono i film che passarono sotto la Silvio B. Communication e la Penta (Cecchi Gori) i cui criteri quantitativi dominavano su quelli qualitativi. La Rai puntava ancora sulle produzioni più piccole, il cinema d'essai, gli esordienti, il cinema d'autore, in nuovi e diversi canali televisivi, ma in seguito per abbassare il proprio rischio d'investimento abolirì le opere prime e i prodotti indipendenti, i quali persero così il contatto con il mercato. In tv aumentarono anche le fiction dove gli spettatori s'immedesimavano nei protagonisti le cui faccende private venivano mostrate (LA VITA CHE VERRA' - 1999, IL COMMISSARIO ROCCA - 1996). L'Istituto LUCE fu uno dei pochi organi a sopravvive decidendo di adattarsi alle nuove regole e con ingegno realizzò ottimi prodotti per ragazzi dopo il successo de LA GRANDE OLIMPIADE (Romolo Marcellini, 1961) oltre ai già presenti investimenti sui giovani e sui film d'essai. Cinecittà perse nel contempo il suo ruolo di capitale del cinema.

 

L'uscita dell'ART. 28 è una chiara rappresentazione di come i politici italiani non siano stati capaci di gestire il cinema in termini economici. C'era il bisogno di una legge che tutelasse l'industria cinematografica italiana e hanno pensato di costituire un organo: il problema cruciale fu che a capo di tutto non c'erano persone del settore, maestranze “in pensione” con un certo livello di cultura cinematografica consapevoli di gestire questo tipo di economia, ma dei politici, persone estranee al mondo del cinema senza alcuna competenza in merito che finirono per regalare le sovvenzioni sprecando così i soldi necessari destinati all'industria cinematografica italiana.

 

E in un sistema così, dove con i film non si vive, ma si sopravvive, si formò una nuova figura, quella del Film Maker già avvertita a metà degli anni '60 nel panorama underground che sviluppò un nuovo cinema sperimentale (Bruno Munari, Ugo Nespolo, Luca Patella, Mario Schifano, tutti pittori, Cioni Carpi, Alfredo Leonardi, eccezione di Carmelo Bene che apparteneva all'overground). Il gruppo di registi comprende anche Massimo Mazzucco (Summertime, 1982), il video-artista Paolo Rosa (L'osservatorio nucleare del signor Nanof, 1985) e Giancarlo Soldi (Polsi sottili, 1985).

 

Nel panorama italiano produttori, distributori ed esercenti erano in calata rapida: crolli di un intero sistema che nessuno è riuscito, o non ha voluto, fermare. 

Sono pochi i registi che sono riusciti a distinguersi dalla massa. In molti erano senza obbiettivi concreti, avevano un vuoto di idee non indifferente, le sceneggiature erano troppo minimaliste, c'era una difficoltà di comunicazione, la mancata attenzione registica si faceva notare, si era andata a formare una vasta perdita della memoria storica e soprattutto persisteva il disinteresse nei confronti della politica.

 

 

 

Redazione

Manifesto 0, 2012

 

LA NAVE MOLLA L'ANCORA - ANNI '80

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