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La Solitudine dei Numeri Primi

Produzione: It. 2010

Genere: Drammatico
Durata: 118' 

Regia: Severio Costanzo

Soggetto: Paolo Giordano

Sceneggiatura: Severio Costanzo, Paolo Giordano

Produttore: Mario GiananiAnne-Dominique ToussaintPhilipp Kreuzer

Fotografia: Fabio Cianchetti
Scenografia: Antonello GelengMarina Pinzuti Ansolini

Costumi: Antonella Cannarozzi
Trucco: -

Effetti: -

Montaggio: Francesca Calvelli

Musiche: Mike Patton

Cast: Alba Rohrwacher (Alice Della Rocca), Luca Marinelli 

(Mattia Balossino), Isabella Rossellini (Adele), Maurizio Donadoni (Umberto), Filippo Timi (Clown), Andrea Jublin (Fabio), Aurora Ruffino (Viola)

Premi:

 

 

 

 

Trama:

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Recensione: 

E’ risaputo che i numeri primi sono divisibili soltanto per uno e per se stessi. Sono numeri

appartati, poco operativi. Alice e Mattia sono entrambi “primi”, isolati dagli altri, ma tra loro due

i numeri sono quasi accostati, perché ambedue braccati da situazioni dolorose vissute

nell'infanzia.

Il film tratto dal romanzo omonimo, premio Strega, di Paolo Giordano, racconta la storia di due

persone, entrambe torinesi, Alice Della Rocca e Mattia Balossino, le cui vite vengono fortemente

disturbate da ricordi di vicende accadute nella loro infanzia, fatti penosi capaci di creare in loro

delle vere e proprie scissioni psichiche.

 

 

 

 

 

 

 

Alice in alcune scene compare dapprima come una bambina di sette anni che pur restando indifferente allo sport dello sci e non mostrando alcuna predisposizione per l’agonismo in generale, viene sollecitata dal padre a impegnarsi in quella attività, che il genitore considera educativa nonché una forma simbolica di rafforzamento dell’immagine familiare più legata al sociale perché il suo è un investimento di risorse per il bene della figlia.

Una mattina, Alice sempre più scontenta per quel tipo di forzatura a socializzare e appagare il genitore , si auto emargina dal resto dei suoi compagni e poi, tra la nebbia, nel tentativo di tornare nel punto di ritrovo, finisce in un precipizio rimanendo gravemente ferita. La ragazza rimarrà menomata per tutta la vita, ma troverà nell’arte fotografica un riscatto importante.

Mattia è un bambino abile e raziocinante, al contrario della sorella gemella Michela che invece è psicolabile, gravemente affetta da una forma di psicosi neurologica, il ragazzo viene emarginato dai suoi vili coetanei per via della sua sorella malata,

Mattia vive dunque parte della propria infanzia in isolamento, poi, un giorno, per poter essere presente senza ansie alla festa di compleanno di un compagno di classe, lascia la sorella, di cui si vergogna, in un parco, pensando di andarla a riprendere al ritorno, ma finita la festa e ripassato dal parco non la ritroverà più; Michela risulterà poi annegata nel fiume vicino.

Questi accadimenti marcano profondamente la psiche dei due ragazzi.

Quando da adolescenti si ritrovano tra le aule di scuola, capiscono subito che entrambi hanno avuto un’infanzia molto problematica. Ma crescendo, le loro condizioni s'intessono positivamente, creando inaspettatamente un tessuto d’amore solidale tra loro due. Nasce un’amicizia singolare, per tutto il tempo che Mattia non lavora, poi laureatosi in fisica, il ragazzo decide di accettare un posto di lavoro all'estero.

I due si separano per molti anni e sarà una combinazione di eventi a ricollegarli, facendoli provare emozioni inedite e la bellezza del raccontare ciò che sentivano l’uno per l’altro durante l’assenza. Alice e Mattia affrontano quindi la formula esistenziale che caratterizza le loro realtà: due numeri primi possono restare quasi accostati, comunicare, trasmettere emozioni e sentimenti, vivere diversamente da molti altri numeri primi, in virtù della minima differenza: del 2?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un po’ a sorpresa Saverio Costanzo gira un film del tutto sperimentale prendendo numerosi spunti dal best seller omonimo di Paolo Giordano, Saverio sembra attratto dal romanzo non tanto per il suo successo letterario e di mercato quanto per il dolore e la sofferenza che racchiude, capace di comunicare, per l’ intensità che trasmette e la coerenza dello sfondo psicologico su cui vengono magistralmente disegnate le angosce, qualcosa di molto importante per la cultura-sociale moderna, tale da portarlo a considerare il testo vicino a un vero e proprio capolavoro letterario di ambientazione sociale.

Saverio però si è trovato nell’impossibilità di fare un film che rispecchiasse con autenticità l’afflizione del libro, qualcosa cioè in grado di tradurre con un certo grado di fedeltà la drammaticità del romanzo, per il semplice motivo che da quando esiste il cinema il linguaggio filmico è diverso da quello scritto.

Seguendo la logica della scrittura libresca, che lascia per forza di cose in chi legge ampio spazio all’immaginazione dei fatti reali descritti, non si sarebbe riusciti a fare un film interessante, una narrazione vale a dire che colpisse per le sue logiche più visive.

Tradotto nel linguaggio filmico il dolore presente nel libro si sarebbe facilmente appiattito oppure avrebbe dato vita a un film troppo verboso, forse tedioso ed espressivamente monocorde, un po’ ridondante su uno sfondo cupo, per l’impossibilità anche di trasmettere in due ore ciò che per essere letto necessita di molto più tempo perché il libro ha tanti più contenuti e descrizioni di situazioni rispetto a quelli di solito presenti nello spazio tempo che il cinema può offrire.

Saverio con una notevole vena inventiva e una professionalità da non sottovalutare ricorre allora a due espedienti narrativi decisivi per la riuscita del film, che risulteranno di una certa efficacia, rendendo la pellicola interessante anche per chi come molti spettatori avevano già letto il libro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da una parte Saverio altera le sequenze temporali dei fatti narrati nel libro, invertendone le sequenze più importanti con ripetuti flash back e flash forward, dall’altra prende a prestito alcuni codici visivi dell’horror classico compiendo un’associazione interessante tra dolore, trauma, e discesa per l’individuo sofferente nell’inferno delle paure più devastanti.

Saverio in sostanza dà all’atroce sofferenza da ricordi forzati che colpiscono i personaggi, alle numerose reminescenze patologiche di cui il libro è impregnato, un preciso e nello stesso tempo paradossale statuto horror, scientificamente pienamente legittimato dalle realtà cliniche più psicanalitiche, che confermano come in effetti il malato da traumi vive, a volte per tutta la vita, la sua sfortunata, tragica esperienza del passato in una dimensione altra, in una sorta di persecuzione da fantasmi psichici spaventosi e ostinati che si presentano con una forza del tutto autonoma, in un caos temporale, indipendente dalla volontà dell’io, procurandogli una vera e propria scissione psichica.

Un gioco di inevitabili proiezioni che porta il paziente psichico affetto da traumi a sentire

minacce esterne, non ben definite, della durata anche di un lampo provenienti da persone

che inconsapevolmente evocano per qualche misteriosa o improvvisa associazione visiva o

comportamentale il plesso psichico negativo, inconscio, che racchiude i fatti dolorosi del

passato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Con i meccanismi horror lo spettatore viene messo di fronte a una realtà narrativa diversa,

meglio definita, quasi incondizionata da un lessico, sfruttando le caratteristiche dell’immagine

filmica horror che tende a proporsi come invasiva, inquietantemente semplice, schematica,

paurosamente affabulata, obbligando lo spettatore a pensare meno al film-libro e a vivere di

più gli effetti cinema, quelli estetici, particolarmente trascinanti che solo la pellicola può dare.

Saverio coadiuvato dallo stesso autore del libro Paolo Giordano riesce inoltre ad animare lo spettatore di una curiosità altra rispetto al libro, perché mescolando i tempi con cui avvengono gli episodi in gioco, togliendo linearità temporale al racconto lo spettatore tende a vivere il film come se fosse una nuovo chiarimento del libro, proposto dallo stesso regista, e quindi cerca di capire con un forte desiderio come il regista- autore può essersi spiegato i fatti problematici del libro, come egli si avvierà verso il finale, quali soluzioni ipotetiche proiettate verso un futuro extra-libro verranno da lui attivate per andare verso lo scioglimento di alcuni nodi narrativi molto densi di questioni.

Più che assomigliare al libro quindi il film assomiglia a un Luna Park noir, diventa a tutti gli effetti, da una parte una intelligente rappresentazione sul testo, ricca anche di aggiuntivi brevi concetti visivi, dall’altra il film diviene una potente macchina di efficaci risultati estetici prodotti da specifici strumenti cinematografici horror usati sapientemente, a volte magistralmente dal Saverio Costanzo che dimostra quanto il suo talento sia stato sottovalutato fino ad oggi dalla critica colta e dalla stampa più comune.

 

 

 

 

Recensione a cura di Giordano Biagio

 

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