Marcantonio Lunardi
Nato a Lucca (Italia) nel 1968. Vive e lavora a Lucca e ad Istanbul.
Regista, videoartista, documentarista, Marcantonio Lunardi pratica, fin dall’inizio del suo lavoro, una contaminazione di tecniche visuali che rappresenta la cifra stilistica più significativa della sua poetica. Diplomato al Festival dei Popoli, si è formato con Daniele Gaglianone, Leonardo di Costanzo, Giuseppe Napoli, Gherardo Cossi, Marie-Pierre Duhamel Muller e Luca Gasparini, solo per citarne alcuni. Seguendo i master di Michael Glawogger, Sergei Dvortsevoy, Thomas Heis, ha potuto approfondire il lavoro di regia e i suoi aspetti più difficili...continua a leggere
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MANIFESTO 0: Quando hai capito che l'arte visiva era la tua strada?
MARCANTONIO LUNARDI: Il mio percorso artistico è nato a seguito di un evento traumatico. Nel 2001, dopo aver assistito agli eventi del G8 di Genova per un reportage fotografico, ho conosciuto un gruppo di artisti che hanno trasformato quel vissuto in espressione visiva. Grazie a quelle collaborazioni e a quelle amicizie ho iniziato a interessarmi alla forma espressiva del documentario ed è stato poi naturale seguire i corsi della scuola del Festival dei Popoli di Firenze, che vanta tutt’oggi uno dei maggior festival internazionali di cinema documentario.
M0: Hai scelto la strada del documentario e quella della videoarte, tralasciando la fiction. Perchè questa scelta?
ML: Bella domanda. Forse perché non sono capace di ricostruire la realtà.
Devo far sempre riferimento a qualcosa che esiste già.
Mi trovo più a mio agio seguendo la casualità di una storia reale, di un’azione di cui non so niente mentre trovo molto faticoso gestire un attore ma sicuramente per limiti miei culturali.
La videoarte per me rappresenta invece la visione onirica del reale.
Una sintesi estetica di un tema politico o sociale che prende forma attraverso documenti e testimonianze video reinterpretate che si trasformano in un quadro in movimento.
M0: Ci sono registi da cui in passato hai preso spunto? Tra i documentaristi di un tempo italiani e quelli stranieri chi preferisci?
ML: Posso rispondere direttamente facendo riferimento ai maestri del documentario le cui opere sono state fonte di riflessione e crescita artistica senza badare alla nazionalità come Pelechian, Wiseman, Jean Rouch, Pasolini, De Seta, Grifi, Agosti. Tutti hanno contribuito alla mia formazione prima come persona poi come regista.
M0: Molte tue opere sono specchio dei tuoi sentimenti più profondi e della situazione in cui vivi. Parlaci un po' di esse..
ML: I miei lavori nascono dall’osservare la realtà che mi sta attorno. La trilogia della decadenza è stato un percorso di analisi della cultura berlusconiana e dell’Italia degli ultimi 20 anni. Sono tre opere di video arte che raccontano quello che sentivo e vedevo in quel periodo. Nascono dalla necessità di urlare al resto del mondo che gli intellettuali non erano tutti genuflessi al potere, che soffrivano della loro condizione e che non sopportavano più quella pentola a pressione che ci stava cuocendo. Laboratoire italie è la fredda rappresentazione del mio vivere nel periodo di massimo splendore berlusconiano. Le provette, le luci in bianco e nero sono lì per raccontare l’asetticità di quello che mi sembrava un grande esperimento mediatico di cui io/noi ne eravamo le cavie. Suspension è composto da una serie di quadri d’attesa. Il quotidiano invaso dalla televisione portatrice di verità distorte dove ogni cittadino aspetta di uscire, liberarsi di questa degerazione sonora, per potersi riappropriare di se stesso, della propria identità. Last 21 day è la fine del viaggio. Nei 21 giorni che precedono le dimissioni di Berlusconi la sua figura non è più presente in video. La sua voce si trasforma in onde grafiche che si intrecciano con gli andamenti di borsa sovrastando una cassa continua di un mercatino, ultimo nella scala gerarchica dell’economia in Italia.
Tutto nasce dall’osservazione della realtà ed ecco i legame con la mia storia di documentarista.
M0: Ho visto che hai realizzato un libro d’artista dal titolo VENTI ANNI DI BERLUSCONISMO IN ITALIA perché passare dal video al libro?
ML: Questo libro nasce dalla necessità di passare dal digitale all’analogico e toccare con mano una propria opera, poterla sfogliare, poterla controllare materialmente.
Un giorno ci siamo trovati a cena io, Giacomo Verde, les liens invisibles, Luca Giometti e per gioco è nata l’idea dei libri d’artista e di una casa editrice virtuale dal nome Atypo.
Un contenitore che potesse essere vetrina per le opere cartacee derivate dalla nostra attività digitale-analogica. Da qui è nata questa splendida collaborazione sia in termini di creazione artistica che di condivisione umana fra noi. Questo lavoro chiude realmente il mio interesse verso il tema del berlusconismo. Il libro poi ha avuto una sua storia e un suo percorso in mostre ed eventi specifici fino ad essere acquisito dal museo ungherese King St. Stephen Museum di Székesfehérvár tra i più specializzati nel mondo.
M0: Quando si parla di arte cinematografica preferisci l'estero. Puoi parlarci di qualche tua esperienza al di fuori dei confini italiani? Le opportunità, i festival, i colleghi..
ML: Sono tutte esperienze estere. Unico momento di contatto con l’Italia è stata la mia partecipazione al Festival di Videoarte di Venezia la cui curatrice Elisabetta di Sopra sapevo essere persona serissima e la collaborazione con l’Università degli Studi di Bologna. Tutti i miei lavori sono in esposizione all’estero. Quando ho iniziato il mio percorso nel settore sperimentale ho presentato gli stessi lavori in Italia essendo la mia terra di origine ma non ho avuto risposte e pochissimi credevano nel mio lavoro. Non conosco il motivo di questo ma se non avessi avuto la fiducia di pochi e strettissimi amici che mi hanno sorretto non sarei stato esposto al Festival Internazionale di Videoarte al Tribeca di New York o al Japan Media Arts Festival di Tokyo. Fuori non ho trovato nessun problema a partire dalla condivisione di idee e progetti con i colleghi artisti. I centri cultura sono dinamici e molte occasioni vengono attraverso gallerie collettive e musei privati. Esistono molti forum dove sono pubblicati gli open call per residenze, festival ed esposizioni. L’Italia è un paese che prima o poi dovrà fare i conti con le sue storture culturali e politiche ma per ora penso sia ancora presto.
M0: Sappiamo che la situazione del cinema italiano in Italia è molto critica, specialmente nei campi in cui lavori tu e cioè il documentario e lo sperimentalismo. Hai qualche cosa da dire a proposito?
ML: In un paese dove, secondo i risultati della ricerca “All, adult Literacy and Life Skills” dell’Ocse, solo il 50% degli italiani, leggendo un bugiardino di un medicinale, riesce a capire a stento la posologia di un farmaco cosa possiamo aspettarci? Abbiamo avuto anni orribili dal punto di vista culturale e davanti non abbiamo di meglio soprattutto quando si cerca di mettere sullo stesso piano la cultura generale e l’economia. Non è possibile quantificare in termini economici quanto la Divina Commedia sarà utile per un ragazzo ma sicuramente fa parte integrante della nostra cultura e della nostra storia e come tale è fondamentale conoscerla. Tutte le arti e quindi anche il cinema qulunque esso sia sta subendo dei contraccolpi terribili. Ovviamente i generi considerati minori sono quelli che ne fanno le spese più di tutti. Pochi sanno che sperimentare significa fornire anche al cinema ufficiale nuovi strumenti e nuovi temi su cui riflettere.
M0: Fai parte dell'Associazione dei Documentaristi Anonimi. Com'è nata e quali sono i vostri obbiettivi? E per quanto riguarda il futuro?
ML: L’associazione documentaristi anonimi nasce in Toscana nel 2010 dalla “… dalla collaborazione tra il Festival dei Popoli e autori, cineasti, produttori, operatori, studiosi e appassionati, come punto di riferimento e interlocutore culturale e politico… “ citando dal nostro statuto.
Le persone che amano il cinema del reale si sono organizzate per difendere, sostenere e diffondere la cultura del documentario in tutte le sue forme e da qui siamo partiti. L’associazione ha creato diverse opportunità di confronto tra le istituzioni e gli operatori di settore per esempio attraverso gli Stati Generali del documentario che si svolgono ogni anno.
I Cantieri del documentario invece sono momenti di confronto tra i singoli autori e il pubblico. Ogni regista propone un tema che verrà sviluppato in un dibattito aperto. E’ un modo per mettersi in gioco e confrontarsi realmente con le difficoltà di questo mestiere. Per la diffusione della cultura oltre ad avere progetti all’interno delle istituzioni scolastiche abbiamo progettato con RTV38 e FST – Mediateca Regionale Toscana e “Quelli della Compagnia” un programma televisivo nel quale, in prima serata, vengono trasmessi documentari di autori italiani. Quest’ultimo progetto è al seconod anno e si sta sviluppando benissimo. Nel futuro prossimo ci sarà l’uscita del primo numero dei quaderni del documentario prodotti dall’associazione e se tutto va bene sarà lanciato al prossimo festival dei popoli 2013.
M0: Tu sei cresciuto facendo molta Gavetta. A oggi come vedi la situazione dei giovani autori italiani? all'estero la si fa ancora?
ML: La gavetta è indispensabile per capire bene tutto il processo produttivo di un film e poter scegliere bene cosa fare da grande. Alcuni comprando una videocamera digitale e uscendo dall’università o dall’accademia pensano di poter girare dei film. Io ho passato anni ad osservare e seguire i miei maestri prima di poter realmente iniziare il mio cammino. Forse quello che dico non è giusto ma alla teoria (necessaria) è importante dare un supporto pratico. Per esempio sapersi rapportare con un testimone e poter raccontare la sua storia non è una cosa facile e si impara con il tempo. In questo caso il rapporto con l’estero lo farei solo in termini di opportunità. Ci sono molte più opportunità per mettersi alla prova e per imparare. In Italia i progetti sono pochi e spesso blindati agli esterni.
M0: So che stai lavorando ad un nuovo progetto .. ci puoi svelare qualcosa?
ML: Ti descrivo quello che uscirà entro il 15 giugno di quest’anno. Si chiama “il coro” e racconterà un frammento della distruzione della cultura in Italia. Tutto nasce dalle parole di un mio amico che si stava congedando dall’insegnamento universitario. Nel suo discorso ai colleghi e amici mise in guardia sottolineando che in Italia la cultura ormai passa dalla televisione e da nessun altro media. Questo mi ha fatto riflettere e ho immediatamente scritto la sceneggiatura. Tutto si svolge in una chiesa, un canto polifonico e un coro composto da 4 persone che sorreggono ciascuno un monitor al posto della testa. Il canto si diffonde dalle televisioni verso tutta la chiesa che ospita il coro.
Ma tutto questo comporta un prezzo. Una sorta di tassa che deve essere pagata dal prodotto culturale: La pubblicità.
Essa è il sostegno principe della produzione televisiva ma al tempo stesso elemento di disturbo, di frammentazione e distorsione del messaggio culturale. Ecco che il canto rimane soggiogato dalla necessità di denaro dello stesso media che si erge a paladino della cultura e che lo diffonde.
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