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I premi aiutano la visibilità, ma non cambiano la qualità dei prodotti 

Sembra ieri che Gianfranco Rosi vinse col documentario “Sacro Gra” il Leone d'oro,

stupendo critica e pubblico, ma Giuliano Montaldo lo aveva detto qualche giorno

prima a una delle riunioni del festival veneziano “Il valore del documentario è anche

questo, un valore nuovo e grande”. 

A distanza di un anno le associazioni cinematografiche si ritrovano a domandarsi se

davvero vincere ai festival può aiutare il documentario. La risposta è unanime e

positiva, anche se si diversifica nel momento in cui si scende nel particolare e si inizia

a discutere di visibilità, distribuzione e finanziamenti. Una cosa è certa: non si può più

parlare di distinzione tra documentario e fiction, finirebbe per banalizzare e catalogare

il cinema del reale, tenendo sempre presente che oramai il cinema moderno con le sue

contaminazioni linguistiche ha assottigliato il confine tra le due narrative. Ciò che però

rimane critica è la situazione ramificata della distribuzione e della visibilità, si accenna a una certa incapacità nel diffondere le opere, si reputa il pubblico non adatto, si riscontra una netta mancanza d'informazione sulla carta stampata. Il pressing è necessario. La tv dev'essere risvegliata: lo spazio è ridotto, si punta troppo sul reportage storico o naturalistico. La critica invece ha aperto gli occhi solo con la vittoria del documentario al Leone d'oro dell'anno scorso, cosa abbastanza imbarazzante dato che da anni nessuno se lo filava, poi improvvisamente la stampa ha assistito al miracolo, finendo per idolatrare una serie di prodotti che a essere sinceri non erano nulla di nuovo, come se fosse arrivata la new wave del doc italiano.

 

Si scava nel passato e si contesta il presente, ma c'è anche chi guarda al futuro e annuncia nuovi progetti: il più atteso, prima ancora del mese del documentario a Milano a pagamento, è forse il David di Donatello dedicato al documentario che partirà in contemporanea con la sezione del David destinato alla fiction, dando così la possibilità ad autori e produttori di pubblicizzare il prodotto con le stesse tempistiche e

modalità di quelli in concorso al premio del cinema di finzione. Il documentario nella nuova era digitale assume in Italia la stessa importanza della fiction, o almeno ci si prova: vengono lanciate anche idee e proposte, tra le tante quella di cambiare i criteri di selezione dei premi istituzionali, quindi quelli non interni al circuito dei festival. Questi i primi segni forti che hanno tutti un unico obbiettivo che sarà realizzato, si spera, da un processo che potrebbe richiedere un bel po' di tempo. Bisogna riaprire i canali di finanziamento e ritrovare nel mercato italiano quelli di distribuzione, il pubblico ha dimostrato di essere pronto, non regge più la scusa del “non interessa” o del “non piace”, i dati raccolti hanno dimostrato che i documentari sono apprezzati non solo da cinefili e critica ma anche dal pubblico medio. Il problema a questo

punto non bisogna cercarlo in altre direzioni, in fondo a pensarci bene, non è neppure tanto lontano dalla situazione che corrono oggi i film italiani di genere horror, fantasy, d'avventura nelle sale italiane. Bisogna riconoscere che le associazioni si muovono e le soluzioni ci sono e devono essere applicate, ma giustamente servono anche buoni documentari. non possiamo continuare con l'uso dei materiali d'archivio, con storie poco accattivanti che non riescono a far leva su una certa autonomia narrativa, e a sperare nella forzata recensione positiva della stampa, perché i premi possono anche aiutare a diminuire il grave fardello della nostra industria che é la visibilità, ma non possono certo cambiare la qualità dei prodotti che realizziamo.

 

 

 

Di Von Chanelly

Manifesto 0, 3 settembre 2014

 

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