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The Lives of Mecca

THE LIVES OF MECCA è un film che annulla, per almeno un'ora, preconcetti e pregiudizi: lo fa con un apparente tocco surreale delle cose che al contempo risultano reali e sincere. Un documentario che raccoglie frammenti di storie profonde, mentre osserva la vita quotidiana di personalità particolari che hanno trovato nell'handball un'ancora di salvezza. Patrick, Tom e Johnny, come tanti altri, vengono da vite difficili, ma nonostante il passato burrascoso pensano con positività al presente e al futuro e in questo lo sport è stato un mezzo per redimersi. “Lo sport è visto da alcuni come terapia” racconta il regista Stefano Etter “La Mecca è un posto interessante, dove ci sono storie e personaggi che ruotano attorno al mondo dell'handball. Si ritrovano lì, giocano, stanno insieme”.

 

Un luogo frequentato da persone che possono incutere paura in un primo momento a causa dei loro legami con il carcere, la droga e le violenze, ma che poi riescono a incuriosire, anche grazie alla sensibilità briosa con cui il giovane regista ha deciso di raccontare questa sua opera prima. “Dopo il sopralluogo, durato un mese, abbiamo abbattuto ogni barriera: tra noi si è instaurato un rapporto di fiducia reciproca. Noi non avremmo mai filmato qualcosa che li potesse privare della dignità e loro non ci avrebbero mai puntato una pistola. Sono stati molto generosi, si sono concessi perché credevano in quello che stavamo facendo”.

 

Il regista mostra un grado di umanità intenso nonostante nel film siano presenti momenti che rischiano di scuotere il giudizio dello spettatore. Una sobrietà che non ha lo scopo di dare adito a sensazionalismi facili, ma solo di raccontare il conflitto individuale di queste persone che in comune hanno la passione dell'handball. “Ci sono diverse scene forti, ma non sono gratuite, non le abbiamo inserite per esaltare. Ogni cosa c'è perché pensavamo fosse necessaria. Ovviamente non abbiamo messo tutto, ci sono scene, dialoghi, testimonianze che non abbiamo tenuto in montaggio, ma la scelta è stata facile.”

 

Selezionato a diversi festival, “The Lives of Mecca”, ha suscitato reazioni favorevoli sia da parte della critica (è vincitore della sezione Panoramica Doc al Piemonte Movie) che del pubblico, il quale a volte si è chiesto se i personaggi fossero davvero così nella realtà oppure recitassero. “Non ho mai pilotato nessuno. Il fatto è che spesso non si dà spazio agli attori sociali. I registi non lasciano campo libero ai protagonisti e invece credo che bisognerebbe seguirli nella loro naturalezza. Per questo il documentario è una scrittura continua, è molto più difficile della finzione e necessita soprattutto di tempo”.

 

 

 

Von Chanelly

Manifesto 0, 6 gennaio 2017

 

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