MANIFESTO 0:
Vorrei partire subito con una domanda a bruciapelo. Nel 2005 hai vinto il Méliès d'argento, il premio più importante in Europa che può vincere un film fantastico. In Italia l'ultimo che ci aveva provato fu Salvatores con NIRVANA. Come ti è venuto in mente di affrontare un genere simile? Non avevi paura delle problematiche legate alla produzione di tali film in Italia?
FEDERICO GRECO:
Nel 2002, quando con Roberto Leggio iniziammo le ricerche per il film, pensammo solo a trovare un’ottima storia che avesse due caratteristiche: che si basasse sulla letteratura di Lovecraft e che facesse molta paura. Tutto il resto era in secondo piano. Non ragionammo se saremmo riusciti a fare il film, lo davamo per scontato: eravamo ingenui e ci scoprimmo fortunati. Fu proprio quest’ingenuità a non farci desistere e a permetterci di trovare finalmente un produttore colto e intelligente come Pier Giorgio
Bellocchio. Tantomeno avremmo mai immaginato che saremmo arrivati fino a Helsinki – in diretta
competizione con Le mele di Adamo – per ricevere il premio più ambito che un autore di cinema fantastico
potesse sognare a quei tempi. Soprattutto perché IL MISTERO DI LOVECRAFT non è solo un film di genere
fantastico, ma è anche un mockumentary, cioè usa un linguaggio che in quel periodo pochi conoscevano (e
che secondo me ancora oggi resta uno dei pochi davvero efficaci – ma non ulteriormente replicabile – per
portare Lovecraft sullo schermo). Insomma è vero: fu una sfida. Ma non ne eravamo del tutto consapevoli:
quella era la storia che volevamo raccontare e quello il modo in cui volevamo raccontarla. Per noi era
sufficiente per partire.
Oggi sono molto più consapevole degli scenari e del contesto dentro il quale mi muovo professionalmente
e paradossalmente questo, forse, è un elemento frenante ogni volta che scelgo un nuovo progetto.
MANIFESTO 0:
Il tuo film IL MISTERO DI LOVECRAFT è riuscito ad avere anche una distribuzione a livello internazionale cosa che non avviene praticamente mai per un film italiano specialmente fatto da chi proviene dal mondo indipendente o underground. Il film è stato anche riconosciuto come film d'essai. Al di là del premio secondo te c'è un motivo preciso perché ciò è stato possibile mentre con altri film italiani che cmq hanno una distribuzione estera questo in Italia non avviene?
FEDERICO GRECO:
Le vie della distribuzione sono misteriose e non saprei dirti, per esempio, come siamo finiti nel listino della Paramount quando uscimmo in Spagna nello stesso listino dell’ultimo Indiana Jones. Tra l’altro con un doppiaggio in spagnolo da denuncia. Oggi è molto più frequente che un film di genere italiano a basso budget trovi una distribuzione homevideo o vod internazionale. Il mercato è cambiato e alcuni horror low budget degli ultimi anni hanno viaggiato il mondo molto più di noi.
MANIFESTO 0:
Dopo il lungometraggio nel 2011 sei passato, tra le varie cose, al corto Nuit Americhèn che si continua a vedere in qualche festival. Ad esempio recentemente è stato apprezzato molto al Noir In Festival di Courmayeur, in cui erano presenti anche Bianchini, Cristopharo, Zuccon. Essendo registi che fate parte di una certa tipologia di film, avete mai pensato di creare, un po' come i membri delle avanguardie, un movimento che possa rappresentare ciò che siete oggi per il cinema italiano?
FEDERICO GRECO:
Ogni tanto proviamo a collaborare tra noi realizzando film a episodi. NUIT AMERICHEN per esempio (che ha appena iniziato la sua carriera festivaliera) nasce proprio su iniziativa di Domiziano Delvaux Cristopharo che, nel 2009, mi offrì di partecipare al progetto collettivo House of Horrors, che poi però ha preso altre strade. Recentemente ho curato la fotografia e il montaggio per l’episodio di Luca Alessandro di THE PYRAMID, il film collettivo fortemente voluto da Alex Visani e venduto in diversi Paesi. Ma al momento non esiste una riflessione comune né un sistema strutturato di collaborazioni reciproche, purtroppo.
MANIFESTO 0:
Oltre che la fiction hai toccato anche il documentario. Molti ricordano il tuo STANLEY AND US che alcune Università hanno adottato come materiale per i propri alunni. Come mai decidesti di girare questo documentario? Vedevi (e vedi) Kubrick come il tuo maestro, è stato una sorta di omaggio?
FEDERICO GRECO:
Fu l’unico modo che io, Mauro Di Flaviano e Stefano Landini trovammo per soddisfare il desiderio di incontrare Kubrick. STANLEY AND US fu questo e molto altro e va inquadrato in un’epoca in cui di Kubrick davvero si sapeva pochissimo. Solo in seguito la diga ha ceduto e Kubrick è stato letteralmente spolpato. Iniziammo le riprese nel 1997, due anni prima che morisse, e le concludemmo nel 2001, producendo un documentario di 75’ (che fu trasmesso da RAISAT CINEMA, distribuito nel mondo da RaiTrade e nelle librerie italiane sotto forma di libro e VHS da Lindau); e 38 episodi di 15’, ciascuno dei quali affrontava un aspetto della vita professionale e personale di Kubrick. Arrivammo davvero a un passo dal raggiungere l’obiettivo originario quando, nel dicembre del 1998, un grosso dirigente della Warner Bros. ci scrisse via fax che Kubrick ci avrebbe ricevuti per un’intervista dopo aver terminato il montaggio di Eyes Wide Shut. Il destino ha voluto che tre giorni dopo averlo montato morisse, nel marzo del 1999.
Fu allora che mi resi conto che ciò che stavo cercando non era un incontro
con lui in persona ma con il suo cinema e da una prospettiva privilegiata.
Dopo quarantotto interviste realizzate nell’arco di quattro anni in dieci città
diverse del mondo a parenti, amici, collaboratori e attori, il suo cinema
l’avevo effettivamente incontrato e capito meglio. Ciò ovviamente non fa di
me un allievo, ma solo un grande appassionato che - forse troppo tardi - ha
compreso che la cosa migliore era liberarsi di quell’ossessione e cercare una
strada completamente personale. E’ stato così che ho scelto quella del cinema “fantastico”, ma forse la direzione che ho preso di non privilegiare l’effetto speciale o lo splatter e di concentrarmi invece più sulla narrazione e i personaggi (e di conseguenza gli attori) deriva in parte da quella mia vecchia ossessione che – inconsapevolmente – continuo a omaggiare.
Se dovessi dire di chi mi sento, in qualche modo, allievo, citerei piuttosto Jaco Van Dormael e David Lynch.
MANIFESTO 0:
Il tuo prossimo progetto quale sarà? Hai già qualcosa tra le mani?
FEDERICO GRECO:
Vorrei fare di NUIT AMERICHEN ciò per cui è nato, cioè un lungometraggio; e di E.N.D. (un pilota di 26’ realizzato con due miei allievi), una serie comedy horror di zombie. E trovare un produttore interessato a un altro paio di progetti di lungometraggio su cui lavoro da tempo: Relax, said the Nightman (un thriller horror internazionale ambientato in Calabria) e QR69, un thriller horror psicologico
che racconta il tentativo di due ragazze di affrancarsi dal legame con una setta millenarista e trovare
finalmente un motivo per affontare la vita a viso aperto.
Sto seguendo gli ultimi scampoli della post-produzione di QUILTY, un lungometraggio realizzato con il
"Cineteatro", l’Accademia di cinema e teatro di Roma dove insegno regia e scrittura, scritto e diretto da
cinque allievi e da me supervisionato. E, per non farmi mancare niente, sto chiudendo anche il mix del pilota
di una serie “distopica” che, attraverso le vicende di un diciottenne, riflette sul grande equivoco dello Spread
usato come arma per distruggere diritti e ambizioni di intere popolazioni: Spread Zero. Anche questo
realizzato con tre miei allievi del "Cineteatro".
Il prossimo progetto in cantiere – anche questo molto interessante per me – è Angelika, un “revenge movie”
mescolato con la storia della genesi di un’eroina alla Sarah Connor ma ambientato – forse? – oggi.
Protagonista assoluta è Crisula Stafida, che ha insistito affinché mi chiamassero a dirigerlo.
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