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Martone, un continuo interrogarsi

“Tutto avrei immaginato nella vita che occuparmi per un decennio dell'Ottocento.” afferma Mario Martone ospite a L'Aquila Film Festival durante la retrospettiva a lui dedicata nel mese d'ottobre.

 

Noi credevamo è nato da un dubbio, dall'esigenza di comprendere come si è potuto combattere per l'indipendenza di un Paese senza la lotta clandestina. Così Martone decide di scavare in profondità e grazie a una moltitudine di ricerche e letture sono emerse cose di cui non aveva idea. “Tutto ciò che avevo studiato a scuola mi è sembrato incompleto: nei libri scritti dagli storici ci sono notizie impressionanti come per esempio il fatto che Mazzini abbia armato la mano di un ragazzo per uccidere Umberto I o che Orsini abbia ferito e ucciso persone innocenti durante l'attentato a Napoleone III. 

A scuola tutte queste cose non te le dicono, le devi andare a cercare tu stesso, a meno che uno non scelga di studiare storia moderna all'università.

Così ho capito che in Italia manca un senso comune: la mia ignoranza su questi fatti è qualcosa che poi è condiviso col popolo italiano e questo ci dice molto sul presente, sul fatto che noi attuiamo delle rimozioni, quasi che il nostro Paese necessiti di rimuovere quel trauma subito in origine.”

 

Fatti colpevolmente taciuti, come la morte di Garibaldi che avvenne per mano dell'esercito italiano e non a causa dei borboni. Si evita di tramandare certe cose ai nostri ragazzi, o meglio si insegna un'idea disillusa di come nacque il nostro Paese. Una situazione paradossale che ha appassionato il regista napoletano e che lo ha spinto a trattare questo periodo storico. Cercare di comprendere quel pessimismo che aleggiava in personaggi come Verdi o Mazzini che nel pieno della lotta vedevano già il fallimento dell'impresa. Un tormento che l'autore ha potuto riscontrare anche in Leopardi, personalità con la quale condivide un modo di essere che è stato sempre presente nei sui lavori. “Leopardi esprime quello che ho sempre sentito: dare un senso alla propria esistenza tiene in vita l'essere umano, un perché che io definisco con l'illusione. I personaggi dei miei film sono spesso dei creatori, hanno a che fare con un tema fondante che è

quello della creatività, la forza dell'immaginazione in rapporto con la vita. Sono film in cui si racconta una spinta, un'utopia. Il matematico ha una visione rivoluzionaria dello stare al mondo, in Teatro di guerra le persone cercano di fare qualcosa durante il conflitto a Sarajevo, Noi credevamo parla delle illusioni di un'intera generazione. L'amore molesto ha come protagonista una creatrice di fumetti, mentre ne Il Giovane Favoloso parla di un poeta.

Quando dico che tutti i miei film sono leopardiani è perché vi riscontro due poli: da una lato c'è il pessimismo, che in realtà è uno sguardo lucido sull'esistenza umana e sulle sorti dell'umanità stessa che non possono essere felici, e dall'altro lato vi è la forza delle illusioni che non è nient'altro che la felicità. E' una continua dialettica tra la spinta vitale e l'accettazione della realtà. Il giovane favoloso in questo senso era forse un incontro fatale nella mia vita.”

Leopardi, racconta Martone, è “un piedistallo imbiancato di polvere e menzogna”. Il poeta di Recanati viene visto nell'immaginario collettivo come un uomo triste, gobbo e infelice perché malato, tutte cose a cui lui si ribellava. "Abbiamo un forte problema con la verità che non può che farci male in quanto gli neghiamo tutt'oggi il diritto di essere ateo, perché in un Paese cattolico come il nostro non si accetta il fatto che uno dei massimi esponenti italiani sia stato un uomo ribelle che se ne fotteva di molte cose."

 

Un continuo domandarsi che è parte integrante della personalità di Martone, forse sviluppato a Napoli grazie a quell'incontro che da ragazzo, insieme a tanti altri giovani, ha avuto con l'arte contemporanea che di natura spinge le persone a chiedersi perché.

Non è difatti un caso che vi sia del cemento armato in una scena di Noi Credevamo, la cui apparizione, pur essendo storicamente errata, assume volutamente un significato provocatorio e metaforico “come lo può essere uno squarcio in una tela dell'Ottocento”. Il regista ci tiene a spiazzare lo spettatore portandolo a dare una propria interpretazione di quelle strutture in cemento mai finite in un momento in cui i personaggi del film stanno lottando per creare una nazione macchiata di quelle cose che potevano essere e che poi non sono successe.

Un gioco che Martone ammette voler fare spesso con gli spettatori, sia al cinema che al teatro. E' un rapporto importante in quanto il pubblico non deve subire l'opera, ma essere vivo davanti ad essa. Ciò significa anche sperimentare e mettere alla prova se stessi: “E' sempre più chiaro il rapporto orizzontale di quello che ho fatto a teatro e nel cinema, ma col tempo ho capito che non mi piace lavorare se non c'è il rischio e ciò quindi mi porta a cambiare di continuo”.

Non possiamo quindi che aspettare con entusiasmo la prossima opera dell'autore, al cinema o in teatro.

 

 

 

NOTE SULL'AUTORE: IL RUOLO DI NAPOLI

 

Mario Martone ha alle spalle una lunga carriera, iniziata a 17 anni in teatro con Spazio Libero, lo stesso luogo frequentato dall'amico e attore Toni Servillo. “Era un luogo dov'era possibile anche per dei giovanissimi artisti cimentarsi nell'arte. Lì per tanti anni, con Toni, abbiamo fatto spettacoli insieme, poi a un certo punto abbiamo creato una compagnia dove io ho fatto i miei film da indipendente e così anche per lui è iniziata la carriera nel cinema.”

 

Napoli è la città natale dell'autore dove spesso le sue pellicole sono ambientate. “Napoli è per me come una scena del

mondo, chiaramente la conosco perché ci sono nato e cresciuto, ma il mio rapporto con lei cambia da film a film. Per esempio la Napoli del matematico è rarefatta quasi mentale, invece per L'Amore Molesto è una Napoli fatta di corpi, di sudore, di suoni, di sensualità. Diversa ancora è la Napoli di Leopardi che viene raccontata tramite quello che il poeta sentiva e vedeva.

La città partenopea è una città molto speciale, c'è una lingua forte, un dialetto che ancora oggi viene parlato e di conseguenza ci sono anche molti attori legati alla lingua.”

 

 

 

 

 

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Von Chanelly

Manifesto 0, 26 ottobre 2016

 

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