Con alle spalle il successo del Neorealismo arrivò il boom degli anni '60, ma fu durante il decennio successivo che iniziarono una serie di cambiamenti ignorati dalla massa che contribuirono alla lenta inversione di qualità del cinema italiano. Il cambiamento fu trasversale sia in senso politico che sociale. Nell'aria si sentiva odore di precarietà, data dalla tenace concorrenza di Hollywood e dal calo dei biglietti venduti: fatti ignorati perché in quel momento il cinema appariva ricco e nessuno si pose il problema dicomprendere questa situazione.
Non si sono mai fatti studi approfonditi sul perché si sia conclusa improvvisamente questa meraviglia
di produzione, ma la causa venne attribuita per lo più a un fatto successo nel 1975, anno in cui la
Corte Costituzionale diede il via libera alle tv private.
Una reazione a catena. La tv divenne libera: arrivarono centinaia di emittenti che spostarono il pubblico
dalle sale al salotto di casa, facendo chiudere diversi cinema, diminuendo così i biglietti venduti che
involontariamente crebbero di prezzo. La tv ebbe un sacco di ascolti ma troppi spazi vuoti così si pensò
di comprare film da Hollywood, contribuendo a far rivivere il suo monopolio, o da privati e cineteche.
Questo porta a un miscuglio tra film di genere e quelli d'autore, tra il vecchio e il nuovo. Il pubblico più
anziano ormai stanco, reputa la tv più comoda e più economica, da casa può rivedersi film vecchi e
guardarsi quelli nuovi. La tv diede quello che il pubblico chiedeva: i registi imperterriti parlavano della
loro adolescenza con voce malinconica. Il pubblico voleva essere informato e la tv contrariamente al
cinema rispose a questa richiesta tramite i telegiornali.
Cinema e tv avrebbero potuto convivere insieme, come succedeva negli anni '60, ma ci fu la volontà
governativa di trascurare il cinema. Disgraziatamente l'organo politico decise di regolamentare la
gestione della tv lasciandole un potere enorme che finì per schiacciare il cinema prima influenzandolo
e poi facendolo morire. La TV divorò non solo il cinema, ma la società stessa. Hollywood entrando
nelle case degli italiani cambiò le abitudini: a partire dalla moda e dai costumi. Giovani e adulti
voltarono le spalle al cinema italiano, senza torto: il cinema non fu capace di modernizzarsi, rimanendo fermo, come la politica che non sapeva guardare al futuro del proprio Paese, e si divise sempre più tra cinema d'autore e popolare. Questa mancanza di dialogo gravò in maniera pesante sul cinema nostrano.
All'inizio degli anni '70 era presente una sorta di legame tra i due mezzi di comunicazione: enti come la RAI finanziavano film che poi venivano trasmessi nelle proprie reti e che servivano a intrattenere e a insegnare come ad esempio PADRE PADRONE (fratelli Taviani, 1977) e L'ALBERO DEGLI ZOCCOLI (Ermanno Olmi, 1978), entrambi vincitori al Festival di Cannes. Due grandi ricostruzioni storiche che danno la possibilità di volgere lo sguardo in un passato che non è poi così lontano dalla realtà contemporanea, due affreschi di una società che si proiettano nel piccolo nucleo familiare, scanditi dalla povertà, dalla malinconia, dai piccoli gesti quotidiani, dallo scorrere del tempo, dalle cose che cambiano. Ma qualcosa cambiò. Le produzioni televisive iniziarono a scarseggiare in senso qualitativo a causa delle energie investite soprattutto nei telefilm, creando una vera e propria
industria, concentrandosi solo sul mercato televisivo quando in realtà la tv avrebbe dovuto adottare una strategia di convivenza tra il prodotto cinematografico e quello strettamente televisivo. Per comprarsi il pubblico la tv arriverà, continuando ancora oggi, a mettere nel calderone un eccessivo livello di trash televisivo tale da ostruire pensieri e visioni del pubblico.
La tv rappresentò il mezzo con cui si offriva la possibilità di fare film a chi al cinema non lo poteva più fare o a chi durante il boom non aveva avuto la sua fetta di successo.
Molti registi però non si dettero sconfitti e continuarono a realizzare film, anche se diventava sempre più difficile poterli vedere. E' giusto ricordare Lucio Fulci, Sergio Martino, Bruno Mattei, Umberto Lenzi e Aristide Massaccesi conosciuto come Joe D'Amato. L'alias all'epoca venne utilizzato da altri registi come strategia che permetteva di aumentare le probabilità di successo del film in quanto il nome straniero rendeva il film più allettante.
Redazione
Manifesto 0, 2012
CONVIVENZA TRA CINEMA E TV
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