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IL NEOREALISMO E I SUOI AUTORI (parte 1)

La fine della guerra e la fine del fascismo segnarono un punto di confine. Nel decennio passato il cinema era andato distruggendosi e i giovani videro il cinema cadere a pezzi. Finita la guerra decisero di ricostruire quello che era andato perduto e vi costituirono quello che noi oggi possiamo definire la bandiera del nostro cinema: il Neorealismo. La rappresentazione più reale possibile della realtà, non era un documentario, ma una fiction che riusciva a raccontare storie vere, di tutti i giorni, storie italiane ambientate durante e dopo la guerra. Si girava in plain air, in luoghi comuni con attori non professionisti che parlavano in dialetto.

 

Semplicità e verismo. Il Neorealismo è la corrente artistica più conosciuta e ammirata.

I capolavori di questo periodo sono tanti e i Maestri sempre pronti a ricevere

importanti premi e riconoscimenti. La pellicola che inaugurò la stagione neorealista

fu ROMA CITTA' APERTA (Roberto Rossellini, 1945) sunto di quella che era la

situazione della capitale del dopoguerra in senso sociale, etico, economico, ideologico.

Il film è il manifesto di questa corrente artistica e la scena di Anna Magnani che corre

dietro al camion dei nazisti che sta portando via suo marito è una delle scene entrate

nell'immaginario comune e negli annali del cinema internazionale. 

Il Neorealismo rappresentò la rivoluzione estetica del cinema che restituì una vivida

descrizione della storia e della realtà, fu il movimento che riuscì a distruggere le

convenzioni fasciste del cinema dei telefoni bianchi. La scarsità delle risorse

finanziarie e tecniche paradossalmente liberò il movimento della macchina da presa, costrinse a girare in luoghi reali che esaltavano l'autenticità dei personaggi. Questi limiti crearono una nuova narrativa, un senso di realismo mai visto prima. I personaggi di questi film così come le storie riescono a entrare nel cuore degli spettatori di ogni tempo grazie alle caratteristiche proprie del movimento artistico.

 

 

Rossellini si pentì di quello che aveva fatto durante l'era fascista e questo suo capolavoro neorealista fu una specie di catarsi assieme ad altri come PAISA' (1946), un insieme di storie individuali ambientate durante la guerra di liberazione degli alleati dai nazi-fascisti, storie crude, storie devastanti, una disperazione di fondo che non trova sentimentalismo, EUROPA '51 (1952) un quadro della vita europea nel dopoguerra in cui fuoriesce tra le tante considerazioni del regista l'ipocrisia della nuova società e il pessimista GERMANIA ANNO ZERO (1948) un film straziante le cui parole chiave sono povertà, miseria, devastazione, un'infanzia rubata, una vita tolta, una società distrutta, dove emerge in maniera sottile il problema dell'educazione. Altri due capolavori neorealisti che si aggiungono furono STROMBOLI TERRA DI DIO (1950) e VIAGGIO IN ITALIA (1953), un road movie nel quale grazie ai semplici gesti dei protagonisti il regista riesce a mostrarci gli aspetti più profondi della loro personalità, un film neorealista non più in senso sociale e collettivo ma individuale.

Uno dopo l'altro arrivarono diversi autori tra cui Luchino Visconti che già aveva avuto modo di dimostrare la sua sensibilità artistica con OSSESSIONE (1943) che una parte della critica considera il primo vero film neorealista. In realtà è neorealista solo per alcuni versi, per certi aspetti sembra esprimere un'opinione fascista, mentre per altri più importanti risulta chiaramente antifascista:

rimane comunque altamente trasgressivo nei confronti dell'epoca. Accettate come opere puramente neorealiste sono invece LA TERRA TREMA (1948), uno di quei rari esempi in cui l'utilizzo del dialetto diventa determinante per percepire l'atmosfera del film, senza di esso la pellicola non sarebbe la stessa cosa, e BELLISSIMA (1951) che si stacca dalle altre pellicole sul dopoguerra: mentre negli altri film i sogni erano considerati come futili pensieri e le speranze erano considerate oggetti evanescenti qui diventano tutto l'inverso, lasciando dietro di sé una forte scia di speranza.

 

Vittorio De Sica lascia temporaneamente Mario Camerini e nel ruolo di regista inizia la

collaborazione a vita con Cesare Zavattini che si dimostrerà il più grande

sceneggiatore mai esistito. Il tema dei bambini venne nuovamente affrontato dalla

coppia De Sica-Zavattini con realismo nella pellicola SCIUSCIA' (1946), nella quale i due

piccoli protagonisti diverranno sempre più cattivi nei confronti di una società ostile

che ha portato via loro un'infanzia spensierata, mentre in LADRI DI BICICLETTE (1948)

lo sguardo infantile è il mezzo col quale si osserva un mondo crudele pieno di

ingiustizie, delusioni, speranze e disperazione, per terminare con UMBERTO D (1952) 

dove la vecchiaia, la malinconia, la dignità calpestata e i diritti negati fanno parte di 

una visione delle condizioni sociali che viene racchiusa in una storia personale,

coinvolgente, che contiene, come il lavoro precedente, una suspense emotiva mai

ritrovata nella storia del cinema italiano. In MIRACOLO A MILANO (1950 - il titolo originale della pellicola era "I poveri disturbano") fu un film che all'epoca risultò scomodo a più di qualcuno, ma il Gran Prix/Palma d'Oro di Cannes riconobbe il giusto valore della pellicola. Anche STAZIONE TERMINI (1953) rientra nelle pellicole neorealiste e fu grazie a tutte queste opere profonde che De Sica e Zavattini vennero considerati due dei maggiori autori del Neorealismo.

 

 

Federico Fellini con il suo stile più unico che raro iniziò a lavorare come regista al cinema neorealista in LUCI DEL VARIETA' (co-diretto con Lattuada, 1950) dove mostra le chiare e spietate leggi del varietà in un esercizio artisticamente ben riuscito. Con LO SCEICCO BIANCO (1952) Fellini si impose come un regista atipico: partendo da una situazione neorealista inseriva tocchi onirici ed imprevedibili che rendono il suo stile inconfondibile. Il tema dell'avanspettacolo torna più feroce che mai con il capolavoro mondiale, il poetico LA STRADA (1954) che vanta un'interpretazione di Giulietta Masina come poche volte si è vista, candida e infantile in netta contrapposizione con il burbero e testardo Quinn in una storia che mette in gioco sentimenti complicati dettati dai severi tratti psicologici dei due personaggi.

Se da una parte c'è il tema dello spettacolo ambulante dall'altra c'è il sogno, una buona dose di fantasia e di Neorealismo che insieme alla colonna sonora di Nino Rota rendono questa pellicola un delicato e toccante dramma sociale celato sotto le finte spoglie di una favola. Il personaggio della Masina si ritroverà su un diverso piano anche in LE NOTTI DI CABIRIA (1957) un film velato da una tristezza di fondo, in cui la crudeltà emerge non da immagini scandalose ma dallo spezzarsi di sogni, di aspettative e dallo sfruttamento degli uomini in netto contrasto con la bontà e la gentilezza della protagonista, un film che non ricade nella mielosa pietà dello spettatore. Più tardi con I VITELLONI (1953) Fellini riuscì a dare un taglio critico nei confronti di quello che si andava delineando come un nuovo status sociale con una precisa analisi psicologica nascosta da precisi e semplici stereotipi veritieri. Il regista sulla base di una riflessione autobiografica dipinge un affresco molto franco della giovane borghesia di allora, ragazzi nullafacenti mantenuti dai propri ricchi genitori, ragazzi spavaldi fuori ma insicuri dentro, dei bambini mai cresciuti che vivono sfamandosi di sogni, di illusioni e di pacato divertimento, memorabile la pernacchia di Alberto Sordi ai lavoratori. Una condanna felliniana che assume toni compassionevoli e nostalgici.

 

 

RISO AMARO (1949) viene considerato il capolavoro neorealista di Giuseppe De Santis

che pose un'analisi precisa della società di allora con un inedito uso della mdp. Aspetti

che già si osservavano in CACCIA TRAGICA (1947) ma che saranno presenti in tutta la

filmografia del regista. Il film sotto certi aspetti riuscì anche a scavalcare quello che

poteva essere il melodramma neorealista classico per puntare a un fotoromanzo dai

molteplici profili, che possono essere sociali, storici, generazionali, conducendoli in un

quadro nazional-popolare, impresso in una tela fitta di intrecci cari al buon vecchio

thriller, sollevando questioni ancora troppo calde e terminando con un fatto di cronaca

 nera dai toni mediterranei, il tutto appeso a una parete artisticamente ben curata. Di

De Santis andrebbero ricordati anche ROMA ORE 11 (1952) e NON C'E' PACE TRA GLI

ULIVI (1950).

 

 

Pietro Germi, fra tutti il più sottovalutato, incontrò i primi e veri, oltre che duri, scontri con la critica di parte e la politica con IL FERROVIERE (1956), un toccante dramma social-familiare in cui Germi, anche se non può vantare di una perfetta interpretazione, diventa con il suo personaggio un monumento in cui la gente, il popolo si identifica: un Paese che sta cambiando e i problemi sociali si riflettono in famiglia. Non si affida a stereotipi, ma si inoltra nei meandri della psicologia umana e in ogni volto dei suoi personaggi cerca la verità per poter esprimere esteriormente allo stesso livello la loro interiorità.

 

La bravura di Germi sta anche nei movimenti complessi della mdp, a volte suggestivi come quelli delle rotaie. L'UOMO DI PAGLIA (1958) che segue lo stile del precedente film venne preso come un film populista quando in realtà è una profonda analisi della società, o meglio, un'analisi che ispeziona la società inoltrandosi sulla psicologia individuale e sui legami che essa in un certo modo controlla. Entrambi i film sono un esempio vivo del perché Germi non fu mai veramente considerato dalla critica specialmente quella di sinistra, una sinistra che si era costruita uno stereotipo della figura dell'operaio che Germi buttava giù, Germi infatti intuì prima di tutti il cambiamento della classe operaia. Un altro motivo per cui non fu mai elogiato fu a causa dell'incapacità da parte della critica di non comprendere la maestria del regista di unire nello stesso film cinema d'autore e cinema commerciale come avvenne per GIOVENTU' PERDUTA (1947) una severissima critica nei confronti della gioventù di allora, nel quale si venne a formare anche il sodalizio con il compositore Carlo Rustichelli.

La vicenda artistica di Germi fu simile a quella di Antonio Pietrangeli, nel senso che entrambi i registi furono sottovalutati dalla critica in quanto il loro Neorealismo non era all'altezza artistica di Fellini, De Sica, Rossellini. Mettendo però sullo stesso piano Michelangelo Antonioni e Germi si può notare che i due trattano le stesse tematiche e i loro messaggi si assomigliano molto, la differenza

sostanziale è la comprensione: i film di Germi erano semplicemente più comprensivi. Per alcuni critici del tempo (come molti ora) un film più è criptico più è vicino al capolavoro. Anche dal punto di vista dell'interpretazione femminile il lato psicologico è molto più chiaro in Germi, e mentre la Monica Vitti di Antonioni è una donna alienata la Stefania Sandrelli e la Claudia Cardinale di Germi appaiono come ragazzine innocenti e sensuali. Di film in film Germi sperimentò ulteriori approcci narrativi attraverso nuovi generi: IN NOME DELLA LEGGE (1948) fu il primo western italiano postbellico.

Redazione

Manifesto 0, 2012

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