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Davide Pulici

Critico e saggista

 

Sito Nocturno

Biografia Davide Pulici

Approfondimento Nocturno 

 

MANIFESTO 0:

Abbiamo parlato di Nocturno, ma tu nasci prima di tutto come critico. Qual'è oggi secondo te la difficoltà (se esiste) che la critica incontra a valutare un prodotto filmico? Perché in Italia si tende a non valutare il cinema di genere? In particolare mi riferisco alla realtà indipendente e underground che si è affermata negli ultimi anni qui in Italia.

 

DAVIDE PULICI:

Dunque, io ho imparato a scrivere di cinema – la parola critico non mi fa impazzire – scrivendo di cinema. Non è un gioco di parole, ma la verità. Non ci sono formule prestabilite per scrivere la recensione di un film; o meglio: ci sono le regole, ma se le applicate vi esce al 99,9% una composizione meccanica, magari corretta ma che non sa né di me né di te (modo milanese per dire che vi ritrovate ad avere scritto qualcosa di anonimo e di grigio, senza  odore, senza gusto, senza nulla).

 

Il cinema di genere viene sottovalutato – oggi però meno di un tempo – perché si parte dall'assunto demenziale che il cinema sia un'arte serissima e che quindi come tutta l'arte seria debba venire usata solo per trattare argomenti di rilievo. Il cinema, per essere preso sul serio, deve essere preso poco sul serio. I critici di cinema che si compiacciono di fare i critici di cinema, più che pena mi fanno davvero schifo. Una volta ho conosciuto uno squilibrato – ne ho incontrati tanti, in questo ambiente – che sulla carta d’identità aveva scritto “critico cinematografico”: gente da fucilare sparandogli alla schiena.

 

Fernando di Leo mi ha insegnato a  distinguere – e questa è una grande verità – tra cinema e film. Il cinema è un obiettivo che solo certuni riescono a raggiungere, diciamo i classici, che non sono però i classici che ci fanno piovere addosso dicendoci che sono classici perché qualcuno ha stabilito per noi che lo debbano essere. I classici sono quelli che ci parlano sempre; quindi "Amarcord!" (Federico Fellini, 1973) per me è un classico, come lo è "Goodbye & Amen l'uomo della Cia" di Damiano Damiani, come lo è "L'aldilà" di Fulci, come lo è "Qualcosa nell'aria" di Assayas.

 

Il problema dell'underground, almeno in Italia, è che nella condizione attuale sono pochissimi quelli che conoscono la grammatica e la sintassi del mezzo. Non è affatto una questione di risorse, di soldi, queste sono le sciocchezze che normalmente si dicono per giustificare l’incapacità. “Non aveva mezzi, poverino!”; No, è un incapace, non sa dove mettere la macchina da presa, non capisce quando un attore è un cane e non sa correggerne gli errori.

 

Per fare i registi, diceva sempre di Leo, bisogna avere occhio, orecchio e un pochino di gusto. Verissimo: l’occhio e l’orecchio hanno anche a che vedere con la tecnica, però. Se non sai come dire quello che vuoi dire, o studi o fai altro e non costringi dei poveri disgraziati a vedere obbrobri che non hanno nessuna ragione di esistere nell’universo. Il punto è che in Italia i giovani, una certa categoria di giovani filmmaker, sono incredibilmente supponenti e pensano che basti la volontà per poter fare cinema. Errore. Ribadisco: prima di sapere quel che vuoi dire, devi sapere come dirlo. Sono in troppi quelli che balbettano e basta dietro una macchina da presa, perché oggi una videocamera in mano ce l’hanno tutti e partono dal principio che il mezzo fa il regista. Non è così. Poi è chiaro che l'underground fa fatica ad ottenere visibilità: molti film – diciamocelo – fanno veramente schifo, sono fatti male, tradiscono solo la spocchia di chi li dirige.

 

 

 

MANIFESTO 0:

Non credi anche tu che questo “blocco” di informazione impedisca al pubblico italiano di conoscere veramente il cinema nostrano. Potrebbe essere un passo avanti per convincere le persone che in Italia non è assolutamente vero che si producono solo commedie o film drammatici e che al di là dei grandi nomi esiste un intero sottobosco di opere e autori che andrebbero valorizzati di più come invece succede all'estero?

 

DAVIDE PULICI:

Le opere indipendenti hanno un'esistenza, oggi, che è sostanzialmente affidata al caso. Non c’è un circuito specifico per farle conoscere e temo che continuerà a non esistere, perché alle grande distribuzione e all’esercente che “deve fa’ li sordi” non frega assolutamente nulla del piccolo film indi, a meno che non si riveli un “caso” - ma succede ben di rado.

 

Il grosso problema è che in questo Paese dove i giovani vivono su Internet e i vecchi sono narcotizzati dalle televisioni generaliste, non ci sono più occhi, menti curiose, al di fuori dei cenacoli, delle sette. Se tu vai, per dire, sui forum specifici, trovi un uditorio di appassionati di cinema a 360° gradi che sono disponibili a dare fiducia a qualsiasi prodotto uno gli proponga. Ma sono 100, 200 anime, a essere ottimista. Non contano, i circoli ristretti di questo tipo. Bisognerebbe andare oltre, ma andare oltre è molto complesso, oggi pressoché impossibile, a meno che uno non abbia i quattrini per autoprodursi dei dvd e per trovare strade di commercializzazione.

 

In Italia queste sono imprese, allo stato, impossibili. Poi, a noi manca il precedente, il genio, quello che è riuscito a venire fuori dalla massa amorfa degli horrorretti indi un tanto al chilo. Lorenzo Bianchini che è Lorenzo Bianchini è rimasto al palo per anni, e ora si spera che Oltre il guado che miete premi ai Festival possa emergere anche nella considerazione di un pubblico un po' più ampio dei soliti quattro fan. Ma ho i miei dubbi: restano prodotti d’élite, in Italia. Mi dicono, invece, che l'ultimo film di Simone Scafidi, Eva Braun – che ho visto ed è notevole – sta vendendo bene all'estero: speriamo se ne accorga qualcuno anche da noi.

 

 

 

MANIFESTO 0:

Un'informazione che potrebbe essere utile ai giovani aspiranti critici. Che tipo di punti deve seguire un critico per fare un'ottima valutazione di un'opera? Quali studi dovrebbe affrontare?

 

DAVIDE PULICI:

Non ho ricette per fare il critico, tantomeno per essere un buon critico. Far fluire i propri pensieri in maniera semplice e diretta, senza avere vergogna di dire nulla. La verità, nel 2014, continua a essere rivoluzionaria. Non sentirsi in soggezione di fronte a nessun film. Non pensare troppo a quello che si  scrive, lasciare scorrere le parole, soprattutto non stare un'eternità sui pezzi.

 

Un articolo tecnicamente perfetto, ripulito, cesellato, limato ma freddo, lo trovo odioso, insopportabile. E' la tipica scrittura accademica, oggettiva, che quando viene applicata alla critica cinematografica è quanto di più deprecabile e detestabile possa esistere sulla faccia della Terra. Essere creativi ma con moderazione. Evitare troppe metafore e quando si usano che siano sensate.

 

La prima persona singolare, io, deve essere bandita. Puoi permetterti di scrivere “ho visto, io ritengo, è mia opinione”, se sei qualcuno, altrimenti fai solo ridere. Anche per scrivere bisogna avere orecchio e se uno ce l’ha e non è disonesto con se stesso, lo capisce se ha scritto un pippone indigesto o un periodo scorrevole. Tenersi lontani come se fosse peste soprattutto dall’idea di dover scrivere cose intelligenti, un concetto in nome del quale si leggono le cose più disgraziate.  E fare buone letture. Io consiglio Nocturno… 

 

 

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