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CINEMA ITALIANO D'AUTORE ANNI '60 - '70

A quel tempo non esistevano scuole professioniste come negli Stati Uniti o in Inghilterra in quanto l'Italia non riconosceva ancora il cinema come linguaggio artistico. Molti registi realizzarono film considerati più autoriali (Luciano Emmer, Carlo Lizzani, Luigi Comencini) in quanto nella loro gavetta ci fu l'esperienza del documentario che non solo condizionò il loro sguardo realista nei confronti della società in cui vivevano ma determinò successivamente stili e temi di ognuno di loro.

Il documentario è sempre stato fonte di scoperte linguistiche e i massimi esponenti di quegli anni furono Folco Quilici, Vittorio De Seta, Florestano Vancini, Citto Maselli, Gianfranco Mingozzi, Giuseppe Ferrara, Virgilio Sabel, Valerio Zurlini, Silvano Agosti, Enrico Gras, Giulio Questi, Gillo Pontecorvo, Valentino Orsini, Tonino De Bernardo, Francesco Pasinetti tra l'altro primo studente a laurearsi in storia del cinema e primo autore a scrivere un manuale storico del cinema dalle origini fino al 1939.

 

 

Ben presto però il Neorealismo intraprese una nuova strada, molto più autoriale dove i film realizzati sono

diventati capolavori indiscussi del cinema mondiale apprezzati anche dal pubblico medio.

Michelangelo Antonioni con crescente pessimismo e cinismo racconta il malessere e la desolazione in

L'AVVENTURA (1960), LA NOTTE (1961) e L'ECLISSE (1962) formano la trilogia sull'incomunicabilità: da una

profonda introspezione della psicologia umana e dei sentimenti appaiono sempre più labili e instabili,

precari e inaffidabili, dove i suoni e il silenzio hanno una funzione di scavo all'interno dell'esistenzialismo

dell'essere umano, un fastidio, un'irritazione incolmabili. In particolare nel terzo capitolo il sole che

rappresenta il bene viene coperto da quello che rappresenta il male così come i valori materiali coprono i

rapporti umani, una concezione specchio del boom economico contemporaneo. DESERTO ROSSO (1964) il

primo della sua filmografia a colori nel quale per l'appunto il colore assume una simbologia psicologica

come nel successivo ZABRISKIE POINT (1970) che viene ricordato per gli splendidi colori, le panoramiche,

gli elementi in stile Pop Art e lo sguardo introspettivo nella controcultura statunitense, mentre in BLOW-UP

(1966) torna ancora una volta al tema dell'alienazione seguendo un tono più misterioso, irreale.

 

 

Luchino Visconti con SENSO (1954) un grandioso esempio di melodramma dove lo stile del regista è a dir poco epico, un film in cui si possono già trovare le instabili e angoscianti relazioni che usciranno nei suoi film futuri. ROCCO E I SUOI FRATELLI (1960) un film che mescola le condizioni dei contadini del Sud Italia con legami di fratellanza, di denaro e di sesso, IL GATTOPARDO (1963) una delle migliori trasposizioni cinematografiche mai fatte, mandò addirittura in rovina la Titanus ma ha un valore artistico immenso, ogni fotogramma è un quadro, la scena del ballo poi è memorabile. MORTE A VENEZIA (1971) la cui fotografia è in assoluto la più bella mai realizzata finora, come per l'opera letteraria precedente anche qui il regista rimane molto fedele all'opera da cui il film è tratto. Nella pellicola è presente la sconfitta finale che diviene mortale, il protagonista non arriva a realizzare quello che sogna qui: il regista fa confluire le pulsioni razionali e quelle irrazionali in un unico punto, realizzando un'opera cinematografica che è un imponente inno al decadentismo e alla bellezza.

 

 

Federico Fellini con LA DOLCE VITA (1960) un successo clamoroso che incarna erotismo, vizi, eccessi che

iniziavano a diventare attuali in quegli anni, memorabile è ormai divenuta la scena in cui Anita Ekberg

entra nella Fontana di Trevi e fa il bagno oppure il nome del giornalista, Paparazzo, ormai di uso comune

per indicare un fotoreporter al seguito di una celebrità, il cui personaggio dagli occhiali scuri è diventato

un'icona generazionale. 8 E MEZZO (1963) diventa la proiezione stessa del regista, considerato uno dei

capolavori assoluti della storia del cinema per tutto l'aspetto tecnico/artistico che il film contiene, un

amalgamarsi di fantasia e realtà mai incontrato prima. GIULIETTA DEGLI SPIRITI  (1965) dove attraverso

accentuati contrasti cromatici di matrice espressionistica, sa essere di sorprendente attualità grazie alle

tematiche sollevate e alla psicologia dei protagonisti. FELLINI SATYRICON (1969) è un affresco della società

del passato che in collegata in qualche modo a quella di oggi tramite l'edonismo e il materialismo,

visibilmente meraviglioso dato da immagini sorprendenti, talvolta impressionanti e grottesche, nel quale

si possono riscontrare molti aspetti della sessualità della cultura passata, un tema che sarà sempre più

presente nel cinema italiano, AMARCORD (1973) è un affresco di ricordi autobiografici fatti riaffiorare

dall'inconscio in maniera disordinata, alternati alla comicità esilarante, leggermente erotica diventata il

suo motivo di firma.

 

 

Vittorio De Sica con LA CIOCIARA (1960), un grande film che parla ancora una volta della situazione di povertà nel secondo dopoguerra e che consacrò Sofia Loren come una delle massime attrici del cinema, IL GIARDINO DEI FINZI CONTINI (1970) rappresenta un ritorno grandioso dopo le ultime opere neorealiste di De Sica, un film commovente, che non è assolutamente di parte nel giudicare il comportamento fascista, ma racconta semplicemente la storia di una famiglia che lentamente decade nelle mani di una furia genocida. La storia rimane sospesa a lungo, osserva la vita dei giovani di una ricca famiglia che tra aspirazioni e amori non riescono a realizzarsi che vivono l'ultimo istante senza sapere che è l'ultimo: lo spettatore però lo intuisce dall'atmosfera, dagli eventi, dai volti, dai gesti, e forse è proprio questo che rende grande quest'ultimo suo capolavoro. La storia di questi ragazzi e delle loro famiglie alto-medio borghesi che sembrano vivere una vita felice e spensierata, piena di ricordi del passato e sogni, speranze per un futuro non troppo lontano. Ma ecco che tutto ciò viene laccato con un velo di malinconia, quasi come se nell'aria si sentisse già l'odore della morte che porterà con sé la guerra e i campi di concentramento. Un film capace di mescolare tra privato e pubblico elementi personali con quelli politici inserendo una tirante storia d'amore senza stancare e che nell'insieme ci arriva dritta al cuore.

 

 

 

Redazione

Manifesto 0, 2012

 

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