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LA CENSURA FASCISTA: TELEFONI BIANCHI E NERI

Nel periodo fascista ufficialmente il "crimine non esisteva", figurarsi se Mussolini avrebbe mai accettato film dai toni noir, ma ci fu chi lo sfidò: Guido Brignone con CORTE D'ASSISE (1930) considerato il primo poliziesco italiano, Carmine Gallone con HARLEM (1943) più sviluppato verso il noir statunitense, Mario Mattoli con STA SERA NIENTE DI NUOVO (1942) che richiamava il noir francese e rese “Ma l’amore no”, canzone cantata nel film, un leitmotiv di quegli anni.

Dei film prodotti in quest'epoca la metà fu commedia. Dopo quella brillante di Lucio D'Ambra e un periodo di silenzio si formò un nuovo sottogenere comico a carattere sentimentale. Come anni prima, la commedia sofisticata non creò niente di nuovo, ma riprese solamente alcuni prodotti di quel genere che si rifacevano a Lubitsch, il quale ammise di aver guardato alla cinematografia di Lucio D'ambra, anche se mentre "Lubitsch si interrogava sulla morte, sulla vita, sull'amore, gli italiani si chiedevano se era meglio darsi del lei o del voi".

 

Il fascismo non gradì mai questo genere di film, esso esigeva opere più impegnate con le quali voleva rimpicciolire la vita, dove erano banditi i fatti di cronaca nera, le parolacce, i conflitti sociali, le immagini di arretratezza e povertà, l'adulterio e il sesso. C'è chi però negli anni '30 rifiutò la propaganda fascista e cercò qualcosa di diverso per attuare una nuova rivoluzione, attraverso dei film che si contrapponessero ai telefoni neri: nacquero così i telefoni bianchi, anche se decisamente rifiutati dalla critica ben pagata.

Il nome venne cognato per la prima volta da Steno nel giornale umoristico “Marc'Aurelio”, ma ben presto gli venne attribuito anche il soprannome di commedia ungherese per il fatto che l'Ungheria divenne un'oasi familiare. Le storie di questi film infatti oltre a venir tratte da romanzi ungheresi venivano ambientate in questo stesso Paese, la cui causa principale fu la censura di Stato di

tipo protezionista che tutelava solo opere italiane e non lasciava spazio a un dibattito culturale più ampio. I telefoni bianchi oltre a rappresentare uno status symbol si impegnarono in situazioni scottanti e scomode: l'adulterio, l'emancipazione femminile, il divorzio, l'inesistenza del principe azzurro, tutti temi mal visti dal regime fascista. I telefoni bianchi però non si distinsero solo per storie, principi,

location, ma anche per le scenografie, gli ambienti lussureggianti pieni di oggetti in stile Art Decò, design in voga in quegli anni. Il problema di questo filone fu quello di non restituire complessivamente la realtà di allora, i personaggi incarnavano solo interiormente i desideri di un'Italia repressa, ma non esteriormente in quanto indossavano gli abiti (frac e abiti da sera) che simbolicamente facevano riferimento alla classe dirigente. 

 

La politica fascista, dopo i successi ottenuti con SEGRETARIA PRIVATA (Goffredo Alessandrini, 1941), capì che questo nuovo tipo di film poteva tornarle utile, così nel '34 il governo entra nel cinema con la Direzione Generale per la Cinematografia, organo facente parte del Ministero per i beni e le attività culturali, destinato a promuovere lo spettacolo.

Il primo esempio di telefoni bianchi fu GLI UOMINI CHE MASCALZONI (Mario Camerini, 1932), una commedia estremamente frizzante e comica che lanciò la memorabile coppia Camerini-De Sica che negli anni a seguire farà davvero furore, e diede vita al leitmotiv entrato nell'immaginario collettivo “Parlami d'amore Mariù”. Inoltre il film segnò la linea di confine tra il vecchio e il nuovo divismo suscitato maggiormente da Amedeo Nazzari, Gino Cervi, Alida Valli, Maria Denis, Enrico Viarisio, Osvaldo valenti, Elsa Merlini, Luisa Ferida oltre a Vittorio De Sica.

Gli attori, formati nell'ambito del teatro e della commedia dell'arte, avevano una voce impostata gradita dal pubblico che eliminò definitivamente la recitazione enfatica del cinema muto. Inizialmente il linguaggio in Italia fu caratterizzato dai diversi dialetti. L'arrivo della tv a partire dal 1954 unirà tutti sotto un'unica lingua, l'italiano. Ettore Petrolini che derivava dall'esperienza del cinema comico muto giocò un ruolo importante perché con il suo modo di fare, influenzò notevolmente comici come Totò e Fantozzi.

Gli attori che continuarono lungo la linea enfatica conobbero un destino ben diverso, come i fratelli De Filippo o Gilberto Govi, che risentendo ancora dell'influenza teatrale persero molta della loro naturale brillantezza. Il successo dei fratelli De Filippo probabilmente è dovuto al fatto che oltre ad essere affiancati dal grande Totò furono ben scritturati. Come esempi basterebbe prendere tre film diretti da Camillo Mastrocinque LA BANDA DEGLI ONESTI (1956), TOTO' E LA MALAFEMMINA (1956) e LA CAMBIALE (1959) che vide impegnati un vero e proprio esercito di comici (Erminio Macario, Aroldo Tieri, Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, Vittorio Gassman).

 

A distanza di anni la critica considerarono Camerini e Blasetti, gli autori più importanti di questo filone, in realtà un grande contributo lo diede anche Max Neufeld tedesco emigrato in Italia che con alcuni suoi film portò un serio sviluppo al genere. Altri autori che si devono considerare sono A. G. Bragaglia, Nunzio Malasomma, Mattoli, Raffaello Matarazzo, Mario Bonnard e De Sica con il suo esordio, ROSE SCARLATTE (1940), che portano sul grande schermo opere più familiari e un po' meno scontate e convenzionali del genere. Il fenomeno dei telefoni bianchi si esaurì agli inizi degli anni '40. Gli ultimi titoli del filone furono IL FANCIULLO DEL WEST (Giorgio Ferroni, 1942), ADDIO GIOVINEZZA! (Ferdinando Maria Poggioli, 1940), QUATTRO PASSI TRA LE NUVOLE (Alessandro Blasetti, 1942) e i film di De Sica MADDALENA ZERO IN CONDOTTA (1940) ancora terribilmente attuale, TERESA VENERDI' (1941) prima collaborazione tra De Sica e Zavattini che però non venne accreditato e I BAMBINI CI GUARDANO (1943) anche se quest’ultimo è ritenuto uno dei precursori del Neorealismo

 

 

Film particolare fu LA CENA DELLE BEFFE (Alessandro Blasetti, 1941) che si presentò in un'epoca di mezzo, dove il neorealismo non esisteva ancora e i canoni degli anni '20 si erano ormai dissolti. É un film che rimane nel baratro fascista ma che riprende lo stile d'annunziano* e fa sentire diversi accenti teatrali. Clara Calamai per il suo seno fece un scalpore enorme tra Chiesa e critici cinematografici oltre che tra il pubblico. Meno scandalo fece, forse perché non intuita, la relazione che si pone tra il personaggio interpretato da Amedeo Nazzari e quello di Osvaldo Valenti. Un film strano e sanguinoso, dove dietro la storia abbastanza semplice e i costumi e le scenografie rese molto bene, si cela un significato più profondo: l'omosessualità. I due protagonisti vanno avanti per tutto il film col darsi contro, beffeggiandosi a vicenda, ma in realtà quello che stanno facendo non é mettere in mostra la virilità di uno e l'aspetto giullare dell'altro, ma bensì nascondere quello che realmente provano: un istinto irrefrenabile nel possedere l'altro sessualmente.

 

 

 

 

*per stile d'annunziano non si intende, cinematograficamente parlando, lo stile del poeta Gabriele D'Annunzio, ma bensì la ripresa di un testo letterario classico da parte del regista per una trasposizione cinematografica. Si usa d'annunziano perché D'Annunzio fu il primo scrittore italiano a lavorare alle sceneggiature italiane negli anni '20.

Redazione

Manifesto 0, 2012

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